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Un nuovo slancio, ma per quale Europa?

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L’Europa è morta, viva l’Europa? Dall’inizio dell’anno, che vedrà le elezioni del Parlamento europeo – investito per la prima volta del potere di eleggere il Presidente della Commissione – i paradossi e le incertezze dell’integrazione europea sono all’ordine del giorno.
Da un lato, i profeti di sventura annunciano che la paralisi e la dissoluzione continuano a incombere, perché nessuna delle ricette applicate ha risolto la contraddizione insita in una costruzione politica il cui principio guida implica l’antagonismo fra gli interessi dei suoi membri. Queste ricette hanno perpetuato la recessione, accentuato le disuguaglianze tra nazioni, generazioni e classi sociali, bloccato i sistemi politici e generato una sfiducia profonda delle popolazioni verso le istituzioni e l’integrazione europea in quanto tale. Dall’altro lato, i sostenitori del metodo Coué colgono ogni segno «non negativo» per annunciare che ancora una volta il progetto europeo approfitta delle sue crisi per rilanciarsi, facendo prevalere l’interesse pubblico sulle differenze.
Quel che, senza dubbio, fa la debolezza di tali proclami, è che a ben vedere tutti i segni invocati (per esempio, l’unione bancaria) riguardano mezze misure, recanti innovazioni ma altrettante limitazioni. Quel che tuttavia impedisce di trattarle con sufficienza, è l’argomento della necessità: le economie delle nazioni europee sono troppo interdipendenti, le loro società troppo assoggettate a meccanismi comunitari per non temere la catastrofe che lo smantellamento dell’Unione sarebbe per tutti. Ma questo argomento si basa a sua volta sul presupposto che nella storia e nella politica la continuità vince sempre, il che significa anche che la crisi attuale avrebbe un carattere semplicemente ciclico.

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