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Sull’incontro annuale FMI e Banca Mondiale 2012

05/11/2012

Al rientro dall’annual meeting IMF- World Bank – ospitato quest’anno dal Giappone (Tokyo, 10-14 ottobre) – una serie di impressioni ancora confuse si mescolano nella mia testa. Sarà il fuso orario, sarà l’incapacità di dormire in viaggio (che mi ha fatto perdere una notte all’andata ed una al ritorno) sarà ancora il senso di straniamento che un soggiorno nel lontano oriente è ancora capace di suscitare. Provo a metterle in ordine inaugurando la mia collaborazione al blog Sviluppo Felice.

 

Impressione numero uno: nonostante gli affannosi interventi di riforma e le manovre a tutte le latitudini, ancora non si vede la fine della crisi. Il Fondo monetario internazionale ha rivisto al ribasso le previsioni di crescita per l’economia mondiale. L’area dell’euro si contrae dello 0,4 per cento nell’anno in corso e l’Italia pesa per un meno 2,3 per cento, un record non eguagliato nemmeno dalla Spagna (meno 1,5 per cento). La Cina, nonostante tutto, cresce del 7,8 ed è pur sempre meno del previsto, a causa delle minori esportazioni verso il ricco mercato europeo. Nel complesso, l’espansione dell’economia mondiale si aggira intorno al 3,3 per l’anno in corso.

 

Impressione numero due: gli europei dell’Area dell’euro fanno quadrato. In tutti i seminari e in tutte le riunioni, tedeschi, spagnoli, portoghesi, italiani, francesi proclamano corali che l’unione economica e monetaria serra le fila, che si arriverà entro l’anno prossimo all’unione bancaria, che l’integrazione fiscale è prossima ventura, che insomma possiamo stare tranquilli: la casa comune è in via di completamento. Scavando un po’ si scopre che – purtroppo- non c’è nemmeno una definizione precisa o univoca di unione bancaria o di integrazione fiscale. In qualche modo si farà.

 

Impressione numero tre: gli inglesi stanno a guardare, come pure i polacchi, gli svedesi e chissà quanti altri membri dell’Unione che non sanno bene se un giorno aderiranno o meno al progetto. Certo nessuno è pari agli inglesi (o comunque alla maggior parte di loro) per scetticismo, quando non addirittura per soddisfazione (ebbene sì, a volte) nel vedere confermati i propri catastrofici auspici sull’euro.

continua

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