Circola in rete una prima bozza del famoso “decreto attuativo” sulla sanatoria. Ma restano ancora tante incognite…
L’amico Sergio Briguglio ha fatto circolare in queste ore una versione ancora non ufficiale del famoso decreto attuativo, la cui pubblicazione era attesa per la fine di Agosto, ma di cui non vi è ancora traccia in Gazzetta Ufficiale. Scorrendo velocemente il testo/bozza di decreto, si osserva che alcune cose vengono chiarite in modo definitivo, altre restano ancora del tutto oscure. Vengono anzitutto confermate alcune previsioni della vigilia: la domanda si farà online con il computer, attraverso il sito del Ministero dell’Interno, con un software probabilmente analogo a quello già in uso per i ricongiungimenti familiari e i decreti flussi. I dettagli di questo software ancora non si conoscono, perché verranno chiariti da un apposito manuale che sarà pubblicato sul sito del Ministero. Il pagamento delle 1.000 euro necessarie per fare la domanda sarà fatto attraverso il modulo F-24, come già era accaduto nella regolarizzazione del 2009 (sul pagamento delle 1.000 euro sono già disponibili istruzioni abbastanza dettagliate in una circolare dell’Agenzia delle Entrate).
Il reddito del datore di lavoro
All’articolo 3, il decreto (il cui testo, è bene ricordarlo, non è ancora ufficiale) stabilisce quali devono essere i requisiti di reddito del datore di lavoro. Per le ditte, il reddito o il fatturato deve essere di 30.000 euro l’anno. Per il lavoro domestico, il reddito minimo del datore di lavoro è fissato in 20.000 euro l’anno, se nella famiglia vi è una sola persona che percepisce un reddito, e in 27.000 euro “in caso di nucleo familiare (…) composto da più soggetti conviventi”. Qui sembra che ci sia un errore: evidentemente si vuol dire che i 27.000 euro sono necessari non quando la famiglia è composta da più persone, ma quando diverse persone nella famiglia lavorano e percepiscono un reddito. Per fare un esempio semplice, prendiamo una famiglia con moglie, marito e due figli. Se lavora solo il marito, la famiglia può fare domanda se il reddito è di almeno 20.000 euro l’anno. Se lavora anche la moglie il reddito necessario diventa 27.000 euro (ma in questo caso si somma il CUD della moglie con quello del marito). Dunque, si prende in considerazione il reddito di una famiglia: ma cosa si intende per famiglia? Per mettere insieme e sommare i redditi di due persone, è necessario che queste persone siano parenti (moglie e marito, oppure fratelli…)? O è sufficiente che facciano parte dello stesso “stato di famiglia”, cioè siano riconosciute come conviventi dall’Anagrafe del Comune? Almeno su questo il decreto fa un po’ di chiarezza, e dice che verrà preso in considerazione lo stato di famiglia, così come risulta all’anagrafe. Tuttavia, il coniuge (il marito o la moglie) e i parenti entro il secondo grado (per esempio due fratelli) possono mettere insieme i loro redditi anche se non sono conviventi. Infine, non serve il reddito se il datore di lavoro è “affetto da patologie o handicap che ne limitano l’autosufficienza”. Dunque, possiamo immaginare che se c’è un certificato medico non bisogna avere alcun reddito minimo. Ma attenzione: nel certificato non basta dire che uno è malato, bisogna precisare (naturalmente se questo è vero) che il datore di lavoro non è autosufficiente.
Quante persone può regolarizzare un datore di lavoro?
Il decreto fornisce qualche chiarimento anche su una domanda che spesso ci viene posta: quante persone può regolarizzare un datore di lavoro? Non esiste un numero massimo, e dunque in teoria il datore di lavoro può presentare domanda per tutti i suoi lavoratori stranieri. Tuttavia, gli uffici (in questo caso, la direzione provinciale del lavoro) devono valutare la “congruità” della domanda: cioè devono stabilire se il reddito del datore di lavoro è sufficiente per assumere quel numero di lavoratori. Attenzione, quindi, a presentare più di una domanda se il reddito è basso.
Qualche considerazione
Le disposizioni sul reddito del datore di lavoro appaiono sproporzionate e irrealistiche: 20mila e 27mila euro sono cifre molto alte, e non si capisce perchè solo i datori di lavoro “ricchi” possano presentare domanda di emersione. Come scrive Sergio Briguglio, vi sono “forti dubbi sulla legittimità costituzionale di una disposizione che esclude dalla possibilita’ di sanare gli illeciti commessi in relazione al rapporto di lavoro il datore a basso reddito”. Infine, non c’è ancora nessuna chiarezza sulla “prova di presenza in Italia” dal 31 Dicembre 2011. Il decreto non dice nulla su questo punto. Reddito altissimo per il datore di lavoro, costi sproporzionati per accedere alla procedura (si parla di qualche migliaio di euro) e una impossibile “prova di presenza”, rendono la regolarizzazione quasi inaccessibile. Speriamo che qualcuno se ne accorga …
Sergio Bontempelli