Sono lontana da Roma, in questo momento. Qui a Montevideo sto studiando le politiche che il governo uruguayano ha messo in campo per combattere la miseria attraverso progetti di autorecupero delle periferie e delle case abbandonate in città. Seguo con amarezza quello che sta accadendo a Tor Sapienza, periferia est di Roma, dove ho lavorato negli ultimi quattro anni. Leggo di notti di scontri e attacchi contro il centro di accoglienza che da anni riceve rifugiati in transito nel pezzo di quartiere chiamato Tor Sapienza II, ovvero nel complesso di edilizia sociale Giorgio Morandi.
Da tempo associazioni, comitati di quartiere, università e gruppi di cittadini italiani – ma anche peruviani, eritrei, marocchini, rumeni, sudanesi e rom – provano a bucare l´indifferenza di istituzioni di governo lontane dai territori. Chiedono azioni concrete contro l’abbandono e il sovraffollamento delle periferie. Non che non ci sia posto per tutta questa popolazione. Fino a qualche decennio fa, Tor Sapienza era una borgata in mezzo al verde, poi, con il passar degli anni, s’é trasformata in città. Chiudendo, molte fabbriche hanno lasciato ampi spazi per progetti di “densificazione” abitativa, lo stesso vale per molte altre aree verdi dove gli insediamenti informali marcano la tendenza a una crescita demografica che da qualche parte deve pur trovare posto.
La domanda di soluzioni abitative è dunque cresciuta in modo progressivo ma la risposta delle istituzioni non è mai arrivata. Non poteva che conseguirne un susseguirsi di figure definite, di volta in volta, informali, illegali e in altri modi simili. Non sono altro che risposte concrete all’emergenza di vivere per strada con la propria famiglia, italiana o straniera che sia.