Fa sorridere pensare a quale sia stata la reazione di Matteo Renzi all'intervista rilasciata qualche giorno fa da Flavio Briatore al Fatto Quotidiano. Alla domanda di Beatrice Borromeo sulla possibilità che il suo endorsement faccia perdere voti al sindaco di Firenze, Briatore ha risposto: «Al contrario: quelli che odiano me e la gente come me non voterebbero comunque per Renzi. Sono le vecchie mummie della sinistra vera. Invece il sindaco può pescare tra l’elettorato sia di Berlusconi sia di Grillo». Per quanto “innovative” possano essere le idee di Renzi, non deve avergli fatto piacere essere implicitamente etichettato dal suo amico-gaffeur come esponente di una supposta «finta sinistra» contrapposta alla «vera sinistra», sia pure costituita, quest'ultima, da «vecchie mummie».
Non a caso Michele Salvati, che è un intellettuale raffinato e come tale capace di usare le parole molto meglio del fondatore del Billionaire, ha voluto definire il recente libro di Mario Pianta e Giulio Marcon (Sbilanciamo l'economia. Una via d'uscita dalla crisi, Laterza, pp. 173, euro 12) come «un’ottima rassegna su che cosa pensa l’estrema sinistra pensante». Il termine “estrema” – evocativo di atteggiamenti ispirati ad una scomposta ed eccessiva concitazione (sia pur temperato dal riferimento al “pensiero”) – è senza dubbio più utile e funzionale ad una controversia intellettuale. Anche perché in questo caso la sinistra “propriamente detta”, “non estrema” – insomma: la sinistra “vera” – sarebbe quella di chi muove le critiche (Salvati) e non quella di chi le riceve (Marcon e Pianta).
Ma la disputa nominalistica rischia di essere sterile. Il termine sinistra – com'è noto – nasce storicamente in seno alla Rivoluzione francese. Per la precisione all'interno dell'Assemblea nazionale costituente, quando negli ultimi giorni dell'agosto 1789 i delegati si trovarono a pronunciarsi sul “veto regio”. «È degno di nota», annotava allora Adrien Duquesnoy sul suo Journal, «che l'aula si sia divisa in modo che, da una parte, siedono gli uomini che, talvolta, certo, hanno opinioni esagerate, ma che, in genere, hanno della libertà e dell'uguaglianza un'idea molto alta...». Come si vede il legame fra la sinistra e l'accusa di “esagerazione” è molto antico. D'altra parte non esiste una dimensione “sostanziale” del concetto di sinistra: si è sempre di “sinistra” in un certo contesto storico e rispetto a qualcuno (cioè a una “destra”). È molto difficile distillare una “quintessenza” della sinistra valida in ogni tempo e in ogni luogo.
Da questo punto di vista si può anche accettare la definizione di Salvati, se per “estrema sinistra” si intende qualcosa “a sinistra” di ciò che lui stesso – e con lui, oggettivamente, gran parte dell'establishment politico-mediatico che plasma le categorie condivise del discorso pubblico – considera “sinistra”.
A parere di chi scrive, tuttavia, è molto più interessante ragionare sul merito delle questioni.
Salvati rimprovera a Marcon e Pianta una scarsa attenzione al rigore di bilancio, vincolo con il quale – volenti o nolenti – dobbiamo fare i conti dato l'attuale recinto delle politiche europee. Rimando all'intervento degli autori per chi volesse conoscere la loro replica sul punto. Qui mi limito ad osservare che in questo momento le economie europee si trovano ad affrontare una drammatica carenza di domanda aggregata. Chi considera i vigenti vincoli di bilancio assolutamente insuperabili dovrebbe essere il primo a schierarsi a favore di un'ambiziosa e “radicale” politica di redistribuzione della ricchezza, come quella delineata da Pianta e Marcon nel loro libro. Sarebbe così possibile fornire un po' di ossigeno al sistema riavviando i consumi, dal momento che, come tutti sanno, la propensione al consumo dei redditi più bassi è molto maggiore di quella dei redditi più elevati. Con i consumi verrebbe rivitalizzata la domanda complessiva, in un tempo in cui si può fare un affidamento solo limitato sulle esportazioni verso i paesi dell'eurozona parimenti in crisi e – stando alla visione dei sostenitori dell'austerità – non è possibile contare sugli investimenti pubblici.