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Tre anni fa nasceva a Roma la Città dell'altra economia, un laboratorio sociale unico in Europa. Che ora Alemanno vuole chiudere. Le ragioni di chi difende questo spazio di democrazia ribelle. Un articolo e un appello

 

Se ti occupi di altra economia in una città complessa come Roma, dove l’amministrazione è di destra e le reti sociali, pur nella loro ricchezza, faticano da sempre a collaborare, che fai? Semplice, ti rivolgi ai tuoi compagni di strada, quelli che pensano all’altra economia come un bene comune. Questo ha cominciato a fare la Città dell’altra economia [Cae] per rispondere ai silenzi e alle decisioni della giunta che puntano a mettere in discussione quanto costruito con pazienza in questi anni nell’ex mattatoio di Testaccio. Ma lo ha cominciato a farlo anche per capire come è cresciuto il movimento dell’economia antiliberista a Roma: di certo, alcuni temi e alcune pratiche, ad esempio i Gruppi di acquisto solidale, sono molto più diffusi rispetto a qualche anno fa.
Così, alle prime riunioni con tutti i pezzi del consorzio Cae, sono seguiti un appello intitolato «Non fermate il progetto della Città dell’altra economia» [che ha raggiunto circa diecimila firme ed è leggibile qui di seguito e su www.cittadellaltraeconomia.org] e la richiesta di aiuto ad altri, tra cui Carta, grazie alla quale è stato possibile diffondere subito l’appello e raggiungere Ascanio Celestini per realizzare la giornata di domenica 26 settembre [prima dell’assemblea cittadina del 29], quando migliaia di persone hanno fatto un salto a Testaccio per dimostrare in molti modi la solidarietà con questo progetto.

 

Del resto, la Città dell’altra economia è qualcosa di più che uno spazio fisico, è un laboratorio permanente di costruzione di un’altra società, una società equa, partecipata e sostenibile. Una società capace di valorizzare la creazione di pensiero libero e indipendente; una società che cerca di ritrovare nei beni comuni la comunanza del vivere collettivo. Insomma, la Città dell’altra economia, pur tra difficoltà e contraddizioni, è uno spazio di democrazia che ha sempre accettato la sfida di intrecciare partecipazione e decrescita, prassi e teoria, organizzazioni sociali e amministrazione locale.

 

Questo spazio finora non è stato un semplice «centro commerciale sostenibile», un aggregato di uffici e luoghi di lavoro e di consumo responsabile. È stato, secondo un preciso progetto avviato dalle oltre sessanta organizzazioni che hanno animato più di dieci anni fa il Tavolo dell’altra economia cittadino e condiviso con il Comune, uno «luogo» pubblico importante per Roma. Sale, piazzale, spazi di mostra e di vendita sono stati frequentati con regolarità da centinaia di migliaia di persone nel corso dello scorso anno, hanno ospitato oltre cinquecento eventi tra convegni, conferenze stampa, eventi, spettacoli, mostre, incontri, dibattiti, presentazioni, seminari, laboratori, corsi. Centinaia di bambini e ragazzi delle scuole romane ma non solo hanno imparato in queste occasioni come crescere, studiare, vivere in modo più consapevole e sostenibile.
Per questo, molte altre città vorrebbero replicare il progetto della Città dell’altra economia.
In realtà, la vicenda della Cae è soltanto l’ultimo atto di un percorso di disinteresse che questa amministrazione ha dimostrato nei confronti dell’economia solidale. A Roma, negli ultimi tre anni non ci sono state iniziative di nessun tipo per promuovere l’economia alternativa a livello cittadino o azioni di rafforzamento delle esperienze esistenti, come dimostrano anche i tentativi di chiudere il Centro di culture ecologica gestito da Casale del Podere rosa e Lipu. Intanto, l’assessorato per l’Autopromozione sociale è stato svuotato e ricollocato di fatto su logiche di economia tradizionale, sono state interrotte le comunicazioni con il Tavolo dell’altre economia e, soltanto per fare qualche altro esempio, è stato abbandonato il Regolamento comunale per gli «sponsor etici». Per non parlare dell’assenza di politiche serie contro le privatizzazioni, per la mobilità alternativa, per il risparmio energetico e l’uso di fonti rinnovabili, per la raccolta differenziata porta a porta.

 

Ma se da una parte c’è il Comune che ha scelto di non condividere più il progetto originario e non intende in alcun modo portare avanti gli impegni presi nel bando dalla precedente amministrazione, è anche vero che i rapporti di convivenza sia sociale che economica all’interno del consorzio Città dell’altra economia si sono indeboliti in questi anni a causa di una diversa visione del progetto.
La difesa della Cae, dunque, può essere un’occasione per rimettere insieme il movimento dell’altra economia romano [ma non solo], per avviare contaminazioni con altre reti e per avvicinare altri cittadini ai temi dell’economia antiliberista. «Un piccolo paese con un piccolo popolo deve fare grandi passi per non avere piccoli dittatori», ha detto Ascanio Celestini. Nonostante le difficoltà esterne e interne, il movimento dell’altra economia romano resta ambizioso e vuole fare grandi passi per decolonizzare l’immaginario sviluppista giocando con riuso e riciclo, agricoltura biologica e finanza etica, commercio equo e software libero, turismo responsabile e mobilità alternativa.

 

Appello : Non Fermate il Progetto Città dell’Altreconomia

 

Cari/e amici e amiche,
ci rivolgiamo a tutti voi perché come persone, gruppi, organizzazioni piccole e grandi cittadine, nazionali e non solo, ci avete incontrato, conosciuto, sostenuto perché ci siamo impegnati nella sperimentazione di attività, progetti, reti e realtà di economia alternativa e solidale nella «Città dell’altra economia» di Roma, all’interno del Foro Boario di Testaccio.

 

Questo spazio non è stato un semplice «centro commerciale sostenibile», un aggregato di uffici e luoghi di lavoro e di consumo responsabile. E’ stato, secondo un preciso progetto avviato dalle oltre 60 realtà che hanno animato il Tavolo dell’Altra Economia cittadino e condiviso con il Comune, uno «luogo» pubblico importante per Roma. Sale, piazzale, spazi di mostra e di vendita sono stati frequentati con regolarità da centinaia di migliaia di persone nel corso dello scorso anno, hanno ospitato oltre 500 eventi tra convegni, conferenze stampa, eventi, spettacoli, mostre, incontri, dibattiti, presentazioni, seminari, laboratori, corsi. Centinaia di bambini e ragazzi delle scuole romane ma non solo hanno imparato in queste occasioni come crescere, studiare, vivere in modo più consapevole e sostenibile.

 

La Città dell’Altra Economia, dunque, è un processo, non un semplice incubatore di progetti e di imprese di «green economy», come invece pensa il Comune. Alle richieste di chiarimenti rivolte all’amministrazione, infatti, l’amministrazione attuale ha risposto che intende procedere con i nuovi bandi all’insediamento «aperti ad imprese della filiera agricola e biologica e alle nuove tecnologie per l’ambiente e l’energia». Mentre per la gestione degli spazi comuni ad uso pubblico (sala conferenza, spazi espositivi sale riunioni e piazzale antistante) l’amministrazione non intende più assumersi la responsabilità della cogestione , ma vuole affidare a terzi la loro gestione, privatizzando di fatto questi spazi.

 

La realtà è che così facendo questo progetto verrebbe chiuso perché i nuovi bandi limiterebbero a sole due aree tra quelle elencate nella Legge regionale sull’Altra Economia la possibilità di fare attività; quindi nella città di Roma verrebbe meno quella vetrina che fino ad oggi ha avuto il compito di mostrare ai visitatori in un sol colpo d’occhio tutto l’articolato sistema di attività sulle quali poggia l’Altraeconomia.

 

I nuovi bandi ad oggi non sono ancora usciti. Questo ha creato e continua a creare un crescente livello di precarietà per le realtà che animano la Cae, nonché’ per i loro lavoratori e lavoratrici. Non è chiaro fino ad oggi, poi, come il comune intenda gestire la transizione dalla vecchia alla nuova gestione, che potrebbe facilmente durare lunghi mesi, durante i quali, evidentemente, la CAE potrebbe rimanere chiusa o priva della maggior parte delle attività economiche che operano al suo interno.

 

E ‘evidente quindi che il progetto della Città dell’Altra Economia per la sua storia ad oggi non è riducibile a questa semplificazione. Chi ha varcato le sue porte ha avuto la possibilità di partecipare alle oltre 30 linee di attività – tra cui l’agricoltura biologica, il commercio equo e solidale, il riuso e riciclo, le energie alternative, il consumo critico, la finanza etica, il teatro, l’arte, la formazione, la comunicazione e il software libero, il turismo responsabile – che si sono ispirate ai principi e ai criteri di lavoro della Carta approvata nel 2004 dal Tavolo dell’Altra economia e che hanno caratterizzato la vita della Città da quando ha aperto i battenti il 29 settembre del 2007.

 

Vi chiediamo di sottoscrivere questo appello per chiedere insieme a noi che questo laboratorio vada avanti, e che il Sindaco Alemanno chiarisca pubblicamente le motivazioni che lo portano, nei fatti, a chiuderlo.

Tratto da www.carta.org
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