Mai più decreti “salsicciotto” che insaccano norme disorganiche. Questo avevano promesso - con parole più eleganti - il Capo dello Stato, il Presidente del Consiglio e il segretario del Pd nei discorsi di fine anno. Alla prima seduta del Senato del 2014, però, ci siamo trovati a esaminare un decreto, approvato a Novembre dal Governo e controfirmato dal Quirinale, che assembla norme di diversa natura: l’ultima rata dell'Imu 2013, la vendita degli immobili statali e la valutazione del capitale della Banca d'Italia.
Nella riunione del Gruppo PD al Senato in diversi abbiamo chiesto di proporre al governo l'eliminazione almeno di quest'ultima parte, trasformandola in un disegno di legge, allo scopo di tenere fede agli impegni presi. Non si capisce infatti come mai l'aggiornamento del valore della Banca centrale, fissato nel lontano 1936, sia diventato improvvisamente tanto urgente da giustificare il ricorso al decreto legge. La norma non ha rilevanza contabile, almeno sul piano formale, e quindi è possibile stralciarla senza procurare alcuna sofferenza nei conti pubblici.
Il Gruppo PD, invece, ha accettato la motivazione del Governo che si giustifica con la necessità di ottenere tempi certi per l'approvazione di decisioni importanti. Ma è una necessità che si autoavvera. Sono proprio i governi, soprattutto negli ultimi anni, a ingolfare l'agenda parlamentare con i decreti legge, rendendo così impossibile lo svolgimento dell'ordinaria attività legislativa in tempi definiti.
In questo caso la fretta viene dall'esigenza di concludere prima possibile l’accordo raggiunto tra i promotori del decreto: i grandi gruppi bancari e assicurativi, la burocrazia di via Nazionale e il Governo.
I primi sono quelli che ottengono di più senza correre alcun rischio e soprattutto senza prendere impegni nella politica della crescita. Banca Intesa, Unicredit, Generali e altri ottengono una strepitosa rivalutazione delle rispettive quote di partecipazione al capitale della Banca d'Italia che passa dal valore attuale di 165 mila euro a 7,5 miliardi di euro. Ovviamente non esiste una regola di mercato per stabilire quanto valga il capitale dell'Istituto, il quale è stato autorizzato ad autovalutarsi adottando un modello di stima che dipende dai rendimenti attesi nei prossimi venti anni. La procedura non può essere definita in modo oggettivo, ma è viziata da ampia discrezionalità, tanto da provocare una critica e una richiesta di chiarimenti dalla Bce. E non ha prodotto neppure un valore definito, bensì una forchetta di oscillazione tra 5 e 7,5 miliardi.
Con ulteriore discrezionalità il ministro dell'Economia ha collocato il valore al livello massimo, senza darne una spiegazione analitica, come ha rilevato il senatore Massimo Mucchetti in aula. Se si fosse scelto un modello di stima diverso (ad esempio la rivalutazione monetaria o relativa al Pil) oppure se si fosse accettato il minimo della forchetta il capitale sociale e quindi le quote private di banche e assicurazioni potevano diminuire di molto.