Il piano di investimenti annunciato da Juncker è una goccia nell’oceano rispetto a quello di cui avrebbe bisogno l’Europa. Dice Charles Wyplosz: “Non farà niente per la crescita. È solo una scusa per continuare a portare avanti le politiche di austerità. Trovo sconcertante che le autorità europee si rifiutino ancora di implementare una vera espansione fiscale”.
Sul famoso piano di investimenti annunciato da Juncker al suo insediamento erano già stati sollevati molti dubbi, a partire dalla cifra dichiarata: 300 miliardi di euro, una goccia nell’oceano rispetto a quello di cui avrebbe bisogno l’Europa. Un po’ come cercare di spegnere un incendio con una pistola ad acqua. Ma i dettagli che sono emersi in questi giorni sul piano, che si chiamerà Efsi (European Fund for Strategic Investment), superano anche le previsioni più pessimistiche. A partire dalla somma, che in realtà sarà molto più esigua del previsto. Solo una piccolissima parte del capitale verrà dal bilancio dell’Unione europea – già molto striminzito e provato dalle politiche di austerity di suo – e dalla Banca europea per gli investimenti (Bei): 21 miliardi di euro in tutto, da spalmare su tutti gli stati dell’Ue. I restanti 300 miliardi circa dovrebbe provenire da investitori privati, con i soldi di Bruxelles a fare da garanzia.
Ma c’è di peggio: la maggior parte di quei 21 miliardi verrà attinta da fondi già esistenti, come quello “Horizon 2020”, il programma di 80 miliardi dell’Ue destinato alla ricerca e allo sviluppo. Nessuna vera risorsa aggiuntiva, insomma. La ragione è da ricercarsi da un lato nella resistenza da parte dei paesi del nord – Gran Bretagna in primis – ad aumentare di un singolo centesimo il loro contributo al budget europeo, dall’altro nell’insistenza della Germania per un coinvolgimento minimo della Bei per evitare il rischio che perda la “tripla A” da parte delle agenzie di rating.