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I gruppi d'acquisto scrivono a Marchionne

08/10/2010

Egregio dottor Marchionne,

da più di venti anni nel nostro Paese è cresciuta una coscienza critica del consumatore che non guarda più solo al prezzo delle merci, ma vuole sapere come sono prodotte, con quale impatto ambientale e con quale uso della forza-lavoro. Questa nuova e diffusa presa di coscienza ha portato alla proliferazione su tutto il territorio nazionale dell’esperienza dei G.A.S. (Gruppo d’Acquisto Solidali), delle botteghe del C.E.S. (Commercio Equo e Solidale), delle reti e distretti dell’economia solidale.

Le scriviamo perché siamo preoccupati, come cittadini italiani, della crisi che attraversa il nostro Paese sul piano economico, culturale e morale. Noi pensiamo che non se ne esca guardando al passato, ma prendendo atto che questa fase storica richiede una nuova responsabilità sociale ed ambientale, dei cittadini/consumatori, dei lavoratori, delle imprese.

Lei rappresenta una grande azienda che è parte integrante della storia di questo paese. Non dimentichiamo che F.I.A.T. (Fabbrica Italiana Automobili Torino) porta nel suo DNA il binomio Torino-Italia e non possiamo dimenticare che lo Stato italiano, dalla prima guerra mondiale ad oggi, ha sempre largamente sostenuto questa azienda per la sua importanza strategica nella struttura produttiva del nostro paese. Ancora oggi oltre un terzo della domanda di auto FIAT proviene dal mercato italiano.

Consapevoli del ruolo politico sociale e ambientale che il “modello Fiat” rappresenta nel nostro paese ci stiamo interrogando con preoccupazione sui piani industriali di Fiat e sulle conseguenze che tali piani comportano da un punto di vista sociale e ambientale. Il progetto di Fiat non sembra francamente realistico. In tutto il mondo - fatta eccezione per Cina e India, dove però l’auto italiana è fuori mercato per il suo prezzo - il mercato dell’auto è in piena recessione, eppure Fiat prevede una forte ripresa della domanda, che le consentirebbe di produrre e vendere, con Chrysler, sei milioni di auto l’anno nel mondo (più del doppio di oggi) di cui 1,4 milioni in Italia. La metà di queste auto dovrebbero venire esportate in Europa, un mercato che già prima della crisi aveva un eccesso di produzione del 30-35% . Cosa succederà ai lavoratori della Fiat se le previsioni non supereranno la prova dei fatti?

Ma per la nostra analisi il problema è ancora più profondo: l’auto secondo noi è un prodotto obsoleto, che viene tenuto in vita solo perché i finanziamenti pubblici (soldi dei contribuenti) lo hanno sostenuto. Una classe dirigente politica e industriale pigra e avida ha scelto, invece di convertire la produzione verso comparti davvero in crescita dove le opportunità ci sono (fonti di energia rinnovabili, efficienza energetica, mobilità sostenibile, edilizia ecologica, ecc), di tenere in vita un modello di mobilità moribondo, avvalendosi di una serie di condizioni favorevoli: i contributi pubblici e la mancanza di alternative per i lavoratori, che, in un Paese arretrato, dove non esiste dinamismo industriale, non possono permettersi di riciclarsi in altre grandi aziende.

Secondo noi Fiat potrà riabilitare la sua immagine e la sua credibilità solo se verranno compiute drastiche scelte di compatibilità ambientale e risparmio energetico. Nel lungo periodo, in tutto l’occidente bisognerà pensare ad una riconversione verso altre produzioni rispondenti ai nuovi bisogni emergenti. Ma, come disse Keynes, nel lungo periodo saremo morti tutti, per cui dobbiamo pensare subito ad una complessa fase di transizione e riconversione. Dopo anni di sostegno statale alle produzioni e ai consumi, incluse le delocalizzazioni della sua azienda sostenute da denaro pubblico, sarebbe oggi l’ora di invertire la rotta. FIAT potrebbe finalmente utilizzare la sua influenza politica per incentivare una concezione sostenibile del rapporto tra cittadini-lavoro-ambiente. Occorre che la polis privilegi decisamente il trasporto pubblico rispetto a quello privato: avremo bisogno di treni e tram più che di automobili e FIAT nei suoi piani industriali dovrebbe tenerne conto, cosa che attualmente non fa.

Per quanto riguarda il presente di FIAT come azienda produttrice di auto, noi riteniamo che se FIAT desidera mantenere una posizione importante sul mercato italiano deve pensare ad un Patto con i lavoratori ed un Patto con i consumatori. Sul primo non è compito nostro esprimerci, sul secondo vogliamo dire con franchezza quello che pensiamo.

 

Noi, come rappresentanti di diverse organizzazioni di consumatori e reti di economia solidale, vorremmo acquistare auto - nella misura in cui non sia possibile rinunciare ad averne una - sempre più piccole, leggere, meno inquinanti e prodotte nel rispetto dei diritti e della qualità della vita dei lavoratori. In passato, abbiamo contribuito a boicottare con successo - in Italia e nel mondo – grandi imprese globali (dalla Nestlè alla Del Monte, per citarne solo alcune) e queste grandi imprese hanno dato spesso delle risposte positive, sia pure da monitorare nel tempo. Per questo riteniamo che Lei debba non sottovalutare le scelte dei consumatori responsabili, del mondo dell’economia solidale e auspichiamo che Lei voglia recuperare l’immagine, oggi gravemente compromessa, dell’azienda che rappresenta. Vorremmo ricordarle il dato dell’ultima ricerca condotta dal compianto Giampaolo Fabris sui consumatori italiani: il 18% è orientato nelle sue scelte da considerazioni etiche, sociali ed ambientali.

Noi sogniamo una FIAT “fabbrica modello per i lavoratori e per l’ambiente”, come in passato è stata l’Olivetti del grande Adriano. Come cittadini e consumatori italiani saremmo disposti a prendere in considerazione un’auto solo nel caso in cui avesse questo pedigree, e come noi tante italiane ed italiani.

Se, invece, pensa che il mercato italiano sia marginale per la sua azienda, allora continui nella strada intrapresa. Il tempo dirà chi aveva avuto ragione.

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