Più commercio uguale più sviluppo. Questo è stato per molti anni un principio-guida delle istituzioni di Bretton Woods: Banca Mondiale, Fondo Monetario Internazionale e Organizzazione Mondiale del Commercio che oggi sono pesantemente sotto scacco a seguito della crisi economica in corso.
E' per questo che da molti anni vengono destinate al sostegno delle politiche di liberalizzazione commerciale anche ingenti quote dei cosiddetti Aiuti allo sviluppo. In origine ciò avveniva attraverso i fondi e i prestiti condizionati della Banca Mondiale e del Fondo monetario internazionale, mentre da qualche anno si è cominciato parlare di Aiuti al commercio (Aid for Trade), una forma specifica di sostegno destinata ad assistere i Paesi emergenti e quelli più poveri nell’adozione delle politiche di apertura commerciale. La logica è quella che vede il libero commercio come strumento essenziale di crescita, cui affiancare una serie di interventi e di politiche che contengano gli inevitabili costi di breve periodo cui queste politiche sono associate.
Help Local Trade è un progetto, ma anche una coalizione nata sull'idea che il libero commercio non rappresenti di per se' la panacea per tutti i problemi economici e sociali, e che anzi esso sia all’origine di parte degli squilibri globali attuali. Il nostro obiettivo è di promuovere una riflessione ampia in ambito istituzionale e di società civile per discutere su quali aiuti sia utile mettere in campo e per quale tipo di commercio. Nell’analisi delle politiche commerciali a livello globale non si può prescindere dai suoi attori tra i quali oggi dominano le grandi corporation, che controllano l’intera filiera di settori chiave per il benessere dei Paesi impoveriti come l’agro-alimentare ed il tessile. Il loro ruolo di player internazionali è ricco di contraddizioni ed un’analisi dettagliata del loro operato è necessaria per costruire un commercio più equo, giusto ed orientato ai mercati locali e alla loro sovranità. Siamo convinti, a partire da esperienze pilota come quelle delle economie solidali, del commercio equo e della finanza etica, che lungo le filiere commerciali sia possibile costruire regole e rapporti in grado di garantire il benessere di tutte le comunità che attraversano, dal produttore al consumatore, soprattutto se soggetti intermedi come in particolare la Grande Distribuzione Organizzata (Gdo), il cui potere di mercato è cresciuto enormemente negli ultimi anni, non si aggiudicheranno la quota più consistente di valore della produzione rispetto ad altri soggetti più deboli all’interno del mercato, come i piccoli produttori e gli stessi consumatori.