Finalmente in questi giorni se ne sono resi conto in molti: forze politiche, media, sindacati e anche i militari. Si spende troppo per le Forze Armate in Italia: troppi sprechi, troppe spese inutili, troppi soldi per le armi, troppi privilegi per una casta che in questi anni ha saputo ben difendere i propri interessi corporativi e rinviare quella necessaria riforma della Difesa che manca da troppo tempo. Doveva essere la crisi economica a scoperchiare la pentola. 180 mila uomini e donne in armi - quando ne basterebbero la metà - 15 miliardi per 131 cacciabombardieri F35 - l'equivalente di mezza manovra Monti - e più di 510 generali (in proporzione più di quelli dell'esercito americano) sono alcuni dei numeri tra i tanti che testimoniano una situazione paradossale: vengono richieste "lacrime e sangue" a pensionati, lavoratori e giovani, mentre le spese militari non vengono nemmeno sfiorate dalla Legge di Stabilità e dalla manovra Monti.
Da anni la campagna Sbilanciamoci chiede la riduzione del 20% delle spese militari, la riduzione di 60 mila unità delle Forze Armate, la cancellazione del programma dei 131 cacciabombardieri F35. Eppure pochi in questi anni hanno sostenuto queste proposte. E pochi si rendono conto - e quasi nessuno ne parla - che mentre vengono salvaguardati gli interessi e i privilegi della casta militare, i fondi per il servizio civile sono passati in pochi anni da 300 a 68 milioni: decine di migliaia di ragazzi - pur avendo optato per questa possibilità ed essendo magari stati scelti - non potranno svolgere un servizio utile alla comunità e che tra l'altro ci fa risparmiare un sacco di soldi per tutti quei servizi sociali che vengono erogati grazie alla loro presenza.
Che ormai i privilegi e gli sprechi dei militari siano insostenibili se ne è reso conto anche il ministro Di Paola, non prima però di aver incassato la salvaguardia dei fondi per il 2012, ottenuta con la Legge di Stabilità e la manovra Monti. Un anno per prendere tempo, mentre il disegno che si profila è chiaro: tagliare il personale (con prepensionamenti, trasferimenti alla Protezione Civile, all'Interno o alla Giustizia) per investire i soldi risparmiati nelle armi. Finché la protesta monta, qualche spiraglio viene concesso (ad esempio la ventilata riduzione del numero di F35 da produrre: invece di 131, magari 50 o 60), salvo poi - ad acque più calme - far marcia indietro. E comunque continuando ad investire in altri sistemi d'arma, facendo così contenta con varie subforniture Finmeccanica (zeppa di ex generali ed ufficiali delle Forze Armate) e soddisfacendo l'obiettivo delle gerarchie militari: fare delle Forze Armate uno strumento "operativo ed efficiente" nei teatri di guerra - come in Afghanistan - ed essere integrata pienamente nella nuova filosofia "interventista" della Nato. Una prospettiva da contrastare con un'idea radicalmente diversa della Difesa del nostro paese: quella della nostra Costituzione (l'«Italia ripudia la guerra») e della carta delle Nazioni Unite.