Professor Altvater, siamo alla vigilia di elezioni europee che molto probabilmente vedranno l’avanzata di forze euroscettiche, nazionaliste e populistiche. Difficile non mettere in relazione questo probabile scenario con quanto Lei ha scritto nel suo recente contributo con cui ha preso parte al dibattito che si è sviluppato recentemente in Germania sul futuro dell’Europa. «All’inizio del XXI secolo – Lei ha scritto – la miseria che dopo il 1945, durante i “decenni socialdemocratici” segnati dall’influsso del keynesismo, era stata eliminata, è tornata in Europa. Si conferma così l’amara verità delle parole pronunciate da Tony Judt poco prima della sua morte nel 2010: la sinistra ha qualcosa da difendere del «XX secolo degli estremismi», ossia le conquiste sociali, a cui l’Europa sta rinunciando». Lei è uno dei maggiori critici in Germania della politiche di austerity, a cui attribuisce l’origine di questo ritorno in grande stile della povertà nel Vecchio Continente. Perché?
Questa non è solo la mia tesi. Sono in molti oggi a comprendere che le politiche di austerity sono destinate a fallire. Lo sappiamo già dagli anni ottanta, dalla crisi del debito nei paesi in via di sviluppo, costretti ad applicare politiche durissime di rigore. Ma in realtà lo sappiamo già da prima. L’austerità, è bene ricordarlo, ha origine proprio nel vostro paese, in Italia, che venne costretta negli anni settanta dal Fondo monetario internazionale ad applicare politiche di rigore in seguito alla crisi petrolifera. Politiche portate avanti dalla grande coalizione tra PCI e DC, e che già allora fallirono. L´austerity è destinata a fallire sempre, e per ragioni di ordine sistematico. Innanzitutto, detto in termini classicamente keynesiani, perché riduce la domanda interna. E senza domanda interna non c´è crescita, quindi nemmeno un’uscita dalla crisi. In secondo luogo perché provoca l’aumento dei profitti e la riduzione dei salari e ciò, prima o poi, porta alla distruzione del compromesso sociale tra le classi, alla distruzione cioè di quell’equilibrio che è sorto nei decenni del secondo dopoguerra in Europa. Queste politiche sono ora diventate l’attualità in Europa, e ne vediamo gli effetti nefasti nei paesi del sud, come la Grecia, il Portogallo, la Spagna, e sicuramente anche l’Italia.