Andrea Baranes (Roma, 1972), dopo gli studi in Ingegneria Chimica, si è avvicinato al mondo dell’economia e ha lavorato come consulente d’impresa, per l’ottenimento di contributi e finanziamenti nel campo della ricerca e dell’innovazione per poi arrivare a coordinare tra il 2002 e il 2003, la Campagna “Questo Mondo Non È In Vendita”, promossa da associazioni e organizzazioni no profit.
È stato membro del Consiglio Direttivo dell’Associazione BankTrack e Socio Fondatore e Segretario Generale dell’Associazione Human Rights Culture, per la promozione dei diritti umani mediante l’arte e l’organizzazione di mostre. Ha lavorato presso la Campagna per la riforma della Banca mondiale (CRBM), in qualità di responsabile per le campagne su banche private e finanza internazionale.
Attualmente presiede la Fondazione Culturale Responsabilità Etica ONLUS – Gruppo Banca Etica, per attività di ricerca sui temi dell’economia e della finanza e dirige l’Osservatorio Finanza, un sito di informazione critica sul mondo bancario e finanziario. È anche uno dei due portavoce della coalizione Sbilanciamoci!.
Tra le sue ultime pubblicazioni: Per qualche dollaro in più. Come la finanza casinò si sta giocando il pianeta, Datanews, 2011; Il grande gioco della fame. Scommetti sul cibo e divertiti con la finanza speculativa, Altraeconomia, 2011; Finanza per indignati, Ponte alle Grazie, 2012 e “Dobbiamo Restituire fiducia ai mercati”. Falso!, Laterza, 2014.
Partiamo da quel che succede a casa nostra. Sembra che lo spettro della crisi voglia essere a tutti i costi mandato in soffitta a suon di timidi segnali di ripresa, piccoli bonus in busta paga e deregulation del mercato del lavoro. A suo modo di vedere l’Italia sta uscendo dalla crisi?
Dei segnali di ripresa ci sono, dagli USA in cui cala il tasso di disoccupazione all’Europa, anche se in misura minore. Resta da capire se e quanto l’Italia sarà in grado di agganciare tale ripresa. I segnali al momento, guardando i dati su produzione, PIL, disoccupazione, non sono certo incoraggianti. Sopratutto, anche un’eventuale ripresa partirebbe da una situazione drammatica. Solo per citare un dato, dallo scoppio della crisi è stato perso il 25% di produzione industriale. Bisognerebbe probabilmente rimettere in discussione lo stesso termine di “crisi” che rimanda a un evento di rottura e di breve durata. Nella situazione attuale e dopo anni di recessione sarebbe più opportuno parlare di un vero e proprio cambiamento strutturale dell’insieme dell’economia. Se anche la crescita del PIL dovesse seguire le proiezioni del governo, non è comunque pensabile una qualche “uscita dalla crisi” ripartendo sulle stesse basi. Le recenti decisioni del governo, inoltre, sembrano volere impostare la “ripresa” unicamente in un’ottica di competitività, andando di fatto a ridurre i costi del lavoro in un pericolosissimo inseguimento delle economie emergenti invece di finanziare la ricerca, e rilanciando i consumi e non investimenti di lungo periodo.