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Enrico Letta ha pubblicato sul sito Project Syndicate e sul Social Europe Journal un contributo in cui delinea un aspetto fondamentale della sua strategia di governo: cosa l’Italia chiede all’Europa. Nel suo intervento, Letta conferma la direzione di marcia, di austerità nei conti pubblici, inclusi i maggiori vincoli alle politiche fiscali posti dal “Semestre Europeo”. Letta lamenta però che le “riforme strutturali” non sono possibili per via dell’impatto sociale della crisi. Per questo chiede all’Europa degli incentivi finanziari legati alla realizzazione delle riforme.
Inoltre, il Presidente del Consiglio chiede l’avvio di un bilancio comune della UE, sotto forma di “assicurazione” per gli Stati Membri, ovvero un fondo da cui possa attingere lo Stato che venisse colpito da uno “shock asimmetrico”. In questo modo, secondo Letta, si può declinare la solidarietà europea in termini di “egoismo illuminato”.
Di seguito pubblichiamo la traduzione della risposta pubblicata sempre sul Social Europe Journal da Carlo D’Ippoliti.

 

 

di Carlo D’Ippoliti, da Social Europe Journal

 

In un recente contributo, il Primo Ministro italiano Enrico Letta riassume l’approccio del suo governo alla situazione del suo paese dell’Europa. Se il governo di grande coalizione in Italia sopravvive, il prossimo anno Letta assumerà la presidenza di turno del Consiglio dell’UE. Comunque il punto di vista del presidente del consiglio italiano in materia di eurocrisi conta ancora di più, perché il futuro economico dell’Italia è in gran parte oltre la portata del paese e piuttosto si basa sulle prestazioni generali dell’Europa.

 

Come è stato più volte sottolineato, sia in questo Journal che altrove, le cupe prospettive dell’Europa dipendono principalmente da tre questioni. In primo luogo la BCE ha visto il suo stato patrimoniale gonfiarsi in misura paragonabile alla Fed, ma la sua politica monetaria è stata apparentemente meno efficace nel sollevare il continente dalla recessione. Questa è evidentemente una conseguenza dei limiti degli strumenti e del mandato della BCE, nonché di punti di vista conflittuali tra i paesi all’interno del suo consiglio.
In secondo luogo, l’inadeguata regolazione della zona euro, in particolare la mancanza di adeguati meccanismi di ridistribuzione tra paesi e di sistemi che impediscano il dumping fiscale e sociale intra-UE, hanno prodotto una divergenza cumulativa tra “centro” (paesi creditori) e “periferia” (paesi debitori) [1].
In terzo luogo, oltre ad un bilancio comune dell’Unione europea così assurdamente piccolo per essere persino preso qui in considerazione, vi è una totale mancanza di coordinamento delle politiche economiche degli Stati membri. Tutti i paesi hanno il compito di fare esattamente la stessa cosa (cioè perseguire il disindebitamento sia del settore privato che di quello pubblico) e tutti contemporaneamente. L’Europa è come una squadra di calcio composta da undici portieri: non esattamente l’idea che uno può avere del “coordinamento”.

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Tratto da keynesblog.com
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