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Tra i commenti anche fortemente critici alla nomina di Giuliano Amato alla Corte costituzionale da parte di Napolitano non ce n'è uno che abbia rilevato che essa conferma un ormai insopportabile e ingiustificabile enorme squilibrio di genere nella composizione della Corte.

È vero che Napolitano ha nominato a suo tempo una delle tre donne che si sono succedute alla Corte, Marta Cartabia, succeduta a Maria Rita Saulle, nominata da Ciampi, che a sua volta era succeduta a Fernanda Contri, nominata da Scalfaro. Potrebbe perciò sostenere che lui ha fatto la sua parte per riequilibrare la composizione della Corte, laddove parlamento, Corte dei conti e Corte di cassazione continuano ad eleggere esclusivamente uomini.

Eppure, da chi periodicamente scaglia nobili moniti contro la sistematica esclusione delle donne dai luoghi che contano ci si sarebbe aspettate che non si limitasse a garantire la presenza di quell’unica donna, ma utilizzasse questa volta il proprio potere di nomina per realizzare un maggiore equilibrio. Ha invece scelto Giuliano Amato: un politico e intellettuale di tutto rispetto, con un lunghissimo cursus honorum, cui ora può aggiungere anche questa carica prestigiosa, anche se meno della presidenza della repubblica cui aveva a lungo aspirato. Anche lasciando da parte il malizioso sospetto che si tratti di una sorta di risarcimento da parte di chi è stato nominato per la seconda volta alla Presidenza della Repubblica nei confronti di uno degli storici, e sconfitti, candidati in pectore, e pur con tutta la stima ed anche amicizia che sento personalmente per Amato, non posso evitare un certo scoramento.

La quota maschile – 14 su 15 giudici - è sempre rigidissima e ben difesa, anche da chi dice di volerla incrinare. La Corte costituzionale rimane l’istituzione più maschile che ci sia in Italia (non così in altri paesi democratici), indebolendo lo stesso diritto ad essere giudicati da un collegio di “pari”. È difficilissimo, se non impossibile, per una donna, per quanto brava e competente, scalfire quel blocco di comunanza di genere, di età, di ceto, di esperienze politiche in cui si sono costruite e cristallizzate gerarchie di potere e di reciproca visibilità.

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Tratto da www.ingenere.it
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