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La salute diseguale delle immigrate in Italia

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Le donne migranti vivono una condizione di particolare vulnerabilità, che le espone a disuguaglianze nella salute dovute a limitazioni socio-economiche e a barriere nell’accesso ai servizi sanitari. In Italia anche le persone senza permesso di soggiorno hanno diritto di usufruire del sistema sanitario nazionale. Tuttavia, nonostante il contesto normativo universalistico, le disuguaglianze nella salute delle donne migranti rimango elevate. Un esempio è dato dagli indicatori di salute della donna in gravidanza e del bambino appena nato che mostrano evidenti differenze [1].

A 3 mesi dal concepimento il 12,8% delle straniere non ha ancora effettuato una prima visita di controllo, mentre le italiane nella stessa situazione sono il 5,4%. Per le asiatiche questa percentuale sale al 17,8%. I corsi di accompagnamento alla nascita sono seguiti dal 19,6% delle donne migranti e dal 64,0% delle native. La percentuale di bambini nati pre-termine è superiore per le madri migranti dai paesi del centro e sud America (9,3%), a confronto con il 6,4% dei nati da madri italiane. L’indice di Agpar, che misura la vitalità e efficienza delle funzioni vitali primarie del neonato, presenta valori peggiori per quasi l’8% dei nati da madri dell’est Europa a fronte del 3,5% dei nati da madre italiana.

Esistono barriere non formali ma culturali all’accesso al sistema di cura. I servizi di mediazione interculturale sono uno strumento indispensabile per facilitare l’accesso alle cure da parte delle donne migranti, adeguando l’offerta di servizi alla qualità e alle necessità della domanda di cura. Non si tratta solo di offrire interventi di interpretariato linguistico, ma anche mettere in atto azioni volte a sviluppare competenze culturali negli operatori e a riorganizzare i servizi per meglio rispondere ai nuovi bisogni. Come per esempio è stato fatto a Bologna con l’attivazione, più di venti anni fa, di un servizio specifico per rispondere ai bisogni di salute delle donne straniere e dei loro bambini.

Il progetto Better Health for Better Integration [2] ha analizzato le disuguaglianze di salute delle donne migranti in Italia, focalizzando l’attenzione sulla regione Marche in prospettiva comparata con altre regioni. La ricerca ha messo in evidenza che nonostante la costante attenzione posta sul tema dall’osservatorio diseguaglianze della regione, i servizi di mediazione interculturale sono presenti solo nella provincia di Ancona, grazie a un accordo rinnovato annualmente fra alcune associazioni di volontariato e la sanità. Nelle altre 4 province sono del tutto non strutturati e offerti su base volontaristica e non sistematica. In sintesi, i servizi di mediazione interculturale non sono mai stati posti nell’agenda politica, nonostante i piani sanitari e sociali degli ultimi dieci anni ne facessero esplicito riferimento. La regione Marche spende per questo tipo di servizi meno di un decimo di quello che spende la sola provincia di Reggio Emilia. Nel 2012, la provincia di Reggio Emilia ha speso 380.000 euro per fornire 2.510 ore di mediazione interculturale, mentre la Regione Marche ha speso 30.000 euro per la sola provincia di Ancona. Non sono però al momento disponibili dati relativi all’impatto che questi servizi hanno sulla salute della popolazione e sui costi complessivi del sistema.

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Tratto da www.ingenere.it
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