Come ci ammoniva Hume, “il dover essere non può derivare dall’essere”. Potremmo aggiungere, l’essere stesso è, quanto meno in parte, una costruzione normativa.
Ciò riconosciuto, se si ha a cuore il contrasto alla povertà e alla disuguaglianza, sono usciti, in quest’ultimi mesi, due rapporti, il Rapporto Bes (Benessere Equo e Sostenibile) a cura dell’Istat e il Global Wage Report 2012-2013 a cura dell’ILO, che offrono un insieme di informazioni essenziali per delineare il quadro degli interventi da effettuare.
Fra i molti dati, vorrei soffermarmi brevemente su cinque. Primo, dopo anni di sostanziale stabilità (perdurante anche nei primi anni della crisi), nel 2010, la povertà in Italia ha ripreso a crescere. La povertà di reddito è salita al 19,6% (+1,4 % rispetto all’anno precedente) mentre la grave deprivazione ha raggiunto l’11,1% (+4,2%). Certo, tutte le misure di povertà comportano aspetti critici. La misura in termini di reddito, essendo relativa, è non solo pro-ciclica, ma assume una visione di povertà come disuguaglianza (rispetto a valori mediani) a prescindere dal riferimento ad uno standard di vita decente. La misura in termini di grande deprivazione si basa su una batteria di indicatori che potrebbero essere opinabili: ad esempio, l’indicatore relativo al ritardo nel pagamento delle bollette potrebbe avere a che fare più con preferenze che non con situazioni di svantaggio.
Ciò nondimeno, dopo tanti anni di stabilità, entrambi i valori sono in aumento (pur partendo da livelli superiori rispetto alla media UE per quanto concerne l’indicatore monetario). L’incremento della povertà, inoltre, si associa ad un incremento dell’indebitamento (in ispecie per piccole somme) e il passaggio in condizioni di deprivazione, lungi dall’essere circoscritto a soggetti poveri di reddito (o con redditi vicini alla soglia di povertà), ha interessato anche soggetti con redditi vicini se non superiori alla media (12% dei deprivati nel 2011 si trovava, nel 2010, nel terzo quintile della distribuzione dei redditi).