Finalmente ieri si è raggiunto il numero minimo di paesi necessario per avviare una cooperazione rafforzata a livello europeo per l’istituzione di una tassa sulle transazioni finanziarie, un’evoluzione della ben nota Tobin Tax.
Un risultato politico storico, come sottolineato da diversi commentatori e dalla società civile, o quanto meno un’inversione di tendenza importante, perché si è affermato in maniera formale il principio che i movimenti speculativi di capitale si possono anche tassare, visto che danneggiano l’economia e i cittadini.
Si inizia quindi con una mini-tassa dentro l’Ue, superando l’opposizione scontata del Regno Unito e di qualche altro stato ultra-scettico. Ma il processo di messa a regime richiederà ancora diversi mesi – e si spera non di più – poiché devono essere affrontate molte questioni tecniche. Poi c’è lo spinoso nodo politico dell’utilizzo del gettito della tassa, ossia se il denaro raccolto finirà in casse “comunitarie”, come vuole la Commissione per rimpinguare il budget dell’Unione, oppure rimarrà nei forzieri nazionali per appianare il debito o per altri fini socialmente utili, come auspica la società civile.
Significativo che anche il governo Monti alla fine abbia rotto gli indugi, forse cedendo alle pressioni dell’asse franco-tedesco, e si è unito all’iniziativa nonostante mantenga ancora con qualche remora. Basta rileggersi le parole dell’ambasciatore Ferdinando Nelli Feroci, che rappresentava l’Italia all’incontro dell’Ecofin di ieri a Lussemburgo, per rendersene conto: “non è stata una decisione facile… abbiamo dichiarato di preferire un impegno in un contesto più ampio e quindi abbiamo aderito nell’auspicio che si creino i presupposti per la partecipazione di altri Stati membri”.