Se è vero che la soluzione della crisi del capitalismo finanziario dipende in gran parte dalla tenuta dell'euro e perciò da una maggiore integrazione europea v'è da chiedersi quale sarebbe stato il risultato, e pertanto gli effetti sui mercati, se al posto di Angela Merkel il cancelliere presente alla riunione di giovedì scorso a Strasburgo fosse stato Helmut Kohl. Fu appunto Kohl, il più duraturo cancelliere tedesco in carica dopo Otto Von Bismarck, che dopo la caduta del muro di Berlino nel 1989 procedette alla riunificazione tedesca come passo essenziale per l'integrazione nell'Unione Europea. Ed è ora ancora Kohl che lo scorso 19 luglio criticò aspramente, dopo anni di silenzio, la sua pupilla Angela Merkel con una dichiarazione durissima: «Sta rovinando la mia Europa».
I mercati hanno considerato il mini summit di Strasburgo dove il cancelliere tedesco era presente insieme a Sarkozy e al nuovo capo del governo italiano Monti, un vero fallimento. Fallimento che non solo ha devastato le borse e i rendimenti dei titoli di Stato sotto pressione come quelli italiani, ma ha cominciato ad attaccare i titoli francesi e ha anche portato alla quasi mancanza di compratori, se non fosse intervenuta la Banca centrale tedesca, all'ultima asta dei bund. È peraltro la stessa Angela Merkel che a Strasburgo ha bloccato qualunque soluzione ipotizzata per risolvere la crisi, impedendo ulteriori interventi mirati della Bce sui titoli degli Stati membri e negando ogni possibile emissione di eurobonds. Eppure è sempre la stessa Angela Merkel che una settimana prima, al Congresso a Lipsia del suo partito, la Cdu, rivendicava il ruolo dell'Europa per la pace nel mondo.
Il cancelliere citava i suoi predecessori Adenauer e Kohl, paladini di una integrazione europea nello stesso evidente interesse della Germania. Si è trattato ovviamente di dichiarazioni generiche e vuote che corrispondono esattamente al contrario del suo comportamento, proprio mentre all'interno della stessa Cdu si rivendica anche la possibilità di lasciare agli Stati membri la possibilità di uscire volontariamente dall'euro. Aldilà delle parole, i comportamenti del cancelliere sembrano essere dettati da Jens Weidmann, il capo della Bundesbank, il quale in una recente intervista al Financial Times ha dichiarato che l'aiuto alla finanza degli Stati membri è assolutamente illegale e che l'opera della Bce come prestatore di ultima istanza per il debito dei Paesi membri è contro la lettera dei Trattati e finirebbe per ridurre la pressione per le riforme di austerity volute dalla Germania per gli altri. Una Germania che addirittura, per farsi forte del suo scetticismo verso l'Europa che l'ha così possentemente risollevata, ricorre a cavilli legali con la grande soddisfazione del leader della Cdu al Parlamento tedesco, V. Kauder, che ha dichiarato trionfante: «Improvvisamente l'Europa sta parlando tedesco».
Eppure in questo momento è solo la Bce che può togliere il panico dai mercati e garantire che il debito sovrano degli Stati membri non provochi il loro default.
La conclusione è una sola e cioè che nessuna politica economica, intesa a risolvere le disuguaglianze provocate dalla crisi e a prospettare una vita migliore nei Paesi ora sottoposti a quella speculazione, che presto si rivolgerà anche alla stessa Germania, può attuarsi senza un immediato intervento della Bce che diventi un passo essenziale per una maggiore integrazione politica dell'Unione Europea.
Vero è che i due Paesi che in questo momento hanno la maggiore responsabilità per decidere se creare un'Europa istituzionalmente più forte e democraticamente progredita oppure affossarla insieme con la sua moneta unica sono Francia e Germania. La loro millenaria avversità, che nella reciproca invidia collegata a un inconscio mimetismo, ha condizionato la storia non solo europea, ma quella mondiale, si ripresenta ora nella gestione degli affari europei.
Il sogno di Sarkozy, di fare dell'Eliseo la Casa Bianca dell'Europa, contrasta non poco con l'egoismo politico ed economico tedesco. Le controverse relazioni culturali e politiche tra i due Paesi sono state esaminate con lucidità nello straordinario libretto del grande filosofo tedesco Peter Sloterdijk Theorie der Nachkriegszeiten (2008). Le contraddizioni ivi studiate e che partono dall'importazione francese del romanticismo tedesco, col libro carico di conseguenze, pubblicato nel 1813 da Germaine de Staël De l'Allemagne, e proseguono subito dopo con l'importazione dell'arte della guerra napoleonica nel libro di Clausewitz Vom Kriege, hanno fin da allora mostrato un fascino patologico reciproco fra le due nazioni e una sconfinata gelosia di primato. Solo due uomini di Stato della caratura di Charles de Gaulle e Konrad Adenauer avevano cercato - attraverso la messa di riconciliazione nella Cattedrale di Reims - di risolvere il perenne schizofrenico rapporto dando vita a un trattato di amicizia franco-tedesco sottoscritto nel gennaio del 1963.
Il distacco tra le due nazioni è tuttavia sempre rimasto, per l'incapacità di formulare una politica comune europea. E così l'Unione Europea rischia di sfaldarsi, sia perché il popolo francese, bocciando il progetto di Costituzione non sembra averci mai profondamente creduto, sia soprattutto perché in Germania, dopo la sicura vocazione europeista di Adenauer e di Helmut Kohl, la signora Merkel, nonostante le sue ingannevoli dichiarazioni, sembra decisa a rovinare la loro Europa e a tornare indietro.