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Matteo Renzi e il valore legale del titolo di studio

05/11/2011

La lamentela sul persistere del valore del valore legale del titolo di studio è uno dei mantra ricorrenti della discussione sull’università. Recentemente anche Matteo Renzi ha posto nel suo programma al punto 82 tale misura: «Introdurre nei concorsi della Pubblica Amministrazione criteri di valutazione dei titoli di studio legati all’effettiva qualità del percorso formativo dei candidati». Non ho certezze granitiche sul valore taumaturgico della sua abolizione (pur non avendo nulla in contrario perché venga liquidato: temo soltanto che nulla cambi), ma vorrei che qualcuno mi spiegasse perché esso è la sentina di tutte le nefandezze che di solito si leggono, visto che sinora quanto è stato sostenuto non mi ha affatto convinto. Vorrei cercare di chiarire il perché.

Consideriamo la situazione attuale. C’è la Facoltà X di alto livello e quella Y di infimo livello. Allora gli studenti bravi vanno in X, gli asini in Y. Si laureano ed hanno un titolo equivalente di dottore in vattelapesca col medesimo voto finale; solo che nel primo caso il 110 vale moltissimo, nel secondo nulla. Bene, fin qui ci arrivo.

 

Ora lo studente x (laureato in X) e lo studente y (laureato in Y) si presentano “sul mercato” per cercare un posto. A questo punto si danno due possibilità: il datore di lavoro può essere privato o pubblico. Nel caso del privato, il signor Paperon de’ Paperoni sa bene che la laurea di y non vale nulla (basta semplicemente informarsi un po’ in giro o fare un’indagine di mercato, nella quale certamente è assai bravo ) e sceglierà x infischiandosene di voti di laurea, di valori legali e quanto altro; non ha neanche bisogno di fare un concorso; basta la chiamata diretta. Dunque in questo caso nulla cambierebbe se venisse ad essere abolito il valore legale del titolo di studio.

 

Andiamo al secondo caso; qui la cosa cambia perché un’amministrazione pubblica deve richiedere certi requisiti che devono essere in qualche modo documentati e che poi devono essere testati con un pubblico concorso. I requisiti saranno del tipo: tizio deve aver frequentato tal o tal’altra scuola, o università o corso di qualificazione ecc. conseguendo un’attestato che certifichi il superamento di certi esami e così via; quindi, dati questi e quest’altri requisiti, ci sarà il concorso che – facendo un’assunzione irrealistica sull’inesistenza di raccomandati – sceglierà tra i possessori dei requisiti richiesti colui che si è dimostrato più bravo; e così sarà scelto sicuramente x e non l’asino y.

 

Cosa cambierebbe in questo caso con l’abolizione del titolo di studio? Si potrebbero avere due possibilità: (a) l’ente pubblico non richiede alcun requisito; visto che esso non può assumere per chiamata diretta (altrimenti sarebbe meglio la legge di Diocleziano) effettua il concorso tra tutti coloro che si presentano e, sempre con l’assunzione prima fatta, sceglierà comunque il più bravo, cioè x. Se invece in questo caso, qualora rimuoviamo l’assunzione idealizzante della non esistenza dei raccomandati, si potrà assumere, in assenza di qualsiasi necessità di certificazione, come ragioniere un salumiere e come ingegnere un ragioniere: agli esami sarà stato certamente brevissimo, molto più bravo dell’ingegnere con PhD di Harvard!

 

Secondo caso per il soggetto pubblico: (b) l’ente richiede dei requisiti; allora – anche in assenza del valore legale del titolo di studio – bisognerà certificare che si è frequentata una scuola X o Y che rilascia il titolo del tipo prescritto, che, per essere accettato ad un pubblico concorso, deve avere un qualche riconoscimento dallo stato nella misura in cui la scuola o università ottempera certi requisiti (durata dei corsi, esami ecc.): dunque, anche in assenza del valore legale del titolo di studio, ha comunque una conseguenza “dirimente” l’aver conseguito o meno una certa qualificazione; a questo punto i due tizi x e y si presentono al concorso e – sempre con l’assunzione fatta – vincerà il più bravo, cioè x. In questo caso, rimuovendo sempre la suddetta assunzione, non sarà possibile assumere il salumiere perché verosimilmente questo non è in possesso della prescritta qualifica e l’ingegnere di Harvard potrà essere in qualche modo garantito se tra i requisiti si mette come titolo preferenziale il possesso del PhD conseguito nella suddetta prestigiosa università. Certo, si potrà dire che la pubblica amministrazione potrà decidere che, ad es., la laurea conseguita in X abbia più valore di quella in Y. Ma come sarà fatta questa valutazione? Di volta in volta, concorso per concorso? È facile immaginare cosa succederà: in base ai candidati saranno stilate le graduatorie di merito, magari per escludere questo o quello. Oppure si farà una volta per tutte, con una sorta di decreto ministeriale che stabilirà le varie categorie di università. Ma questo, è più facile a dirsi che a farsi.

 

Cosa sarà cambiato dunque? Mi sembra nulla. Anzi, forse con l’abolizione del valore legale, qualcosa sarà anche peggiorato. Se quanto detto è vero (ma aspetto che qualcuno mi indichi qualche falla nel ragionamento), allora la lezione da trarre è non che bisogna abolire ecc., bensì che:

 

a) bisogna eliminare tutti i meccanismi automatici di assunzione basati su punteggi certificati nell’attestazione finale (in questo caso sarebbero ingiustamente equiparati i due 110 anche se essi non hanno per nulla lo stesso valore). Cioè bisogna impedire quel meccanismo che ha visto immettere nelle scuole migliaia di insegnanti di ruolo semplicemente in base alle famigerate graduatorie a punti;

 

b) che il punto cruciale è la correttezza dei concorsi, che devono essere frequenti e con meccanismi che ne garantiscono una scarsa manipolabilità (non ad esempio come i concorsi universitari…); altrimenti meglio il sorteggio!

 

c) che non deve essere accettato alcun meccanismo pseudo-ideonativo (e sostanzialmente ope legis) che si basi solo sull’esistenza di certi requisiti formali: il titolo, l’attività prestata per un certo tempo (caso tecnici laureati) ecc.

 

Certo queste non sono delle cose facili e forse per questo si preferisce la scorciatoia dell’abolizione del valore legale del titolo di studio. Con la sua apparente semplicità si pensa di risolvere un problema che richiede invece il ripensamento di tutto il sistema di assunzioni e di promozioni, specie nel settore pubblico.

Tratto da www.roars.it/
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