Guardando alle caratteristiche del welfare in Italia occorre superare definitivamente l’idea di un sistema di welfare italiano e domandarsi piuttosto se mai ci sia stato un sistema italiano di welfare.
Guardando sia ai servizi sia ai trasferimenti, oltreché alle problematiche fiscali, sembrano emergere con nettezza almeno due modi di fare welfare:
1. perché le stesse misure hanno impatti assai dissimili nelle due Italie, a causa soprattutto di tessuti societari troppo diversi e del controllo economico e sociale esercitato in molte aree meridionali in modo asfissiante dalle grandi organizzazioni «mafiose»;
2. perché il welfare dei servizi non è mai decollato nel Mezzogiorno; gli stessi sistemi universalistici pubblici della scuola e della sanità, formalmente presenti anche nelle regioni del Sud, appaiono caratterizzati da deficit di rendimento drammatici, le cui cause molteplici possono essere fatte risalire sia alle fortissime disuguaglianze sociali presenti in quei territori, che alle locali patologie del ceto politico ed alla scarsa autonomia delle classi dirigenti nei confronti delle organizzazioni malavitose.
I divari nel funzionamento dei vari servizi di welfare a livello regionale sono ampiamente noti,
ma desta ancora più interesse come , guardando ai servizi per l’infanzia, al sistema scolastico, al sistema universitario ed al sistema sanitario, emerga un ampliamento delle differenze (tabb. 1-2)
Nessun paese in Europa mostra una distanza così elevata fra il suo «Nord» e il suo «Sud» in termini di sviluppo economico e, contemporaneamente, di qualità del suo sistema di welfare.
Osservando tale dualismo da vicino proprio dal punto di vista delle caratteristiche dei servizi, così come dei trasferimenti, non si può non ricavare la sensazione che siano all’opera oggi sempre di più nel nostro paese due diversi sistemi di welfare
Il «welfare del Nord» appare sempre più simile al welfare continentale di impronta «categoriale-corporativa», con un importante settore di servizi, cresciuto in modo non irrilevante negli ultimi trent’anni, con una qualità nettamente più elevata dei grandi sistemi universalistici costruiti nel periodo precedente (istruzione e sanità), con una tentata modernizzazione dei servizi socioassistenziali, con burocrazie pubbliche e governi locali maggiormente attrezzati ad affrontare le nuove sfide (anche di fronte ai rilevanti processi di decentramento ormai avviati con decisione) con un peso crescente, infine, dei diversi soggetti del Terzo Settore, a cominciare dalle Fondazioni e del welfare categoriale ed aziendale, moderni eredi del welfare occupazionale evocato da Titmuss. Permangono, naturalmente, differenze non irrilevanti rispetto ai sistemi di protezione dei paesi dell’Europa centrale, quali, ad esempio l’assenza di una politica generale di contrasto della povertà basata sulla garanzia di un reddito minimo o interventi in grado di affrontare le molte problematiche poste dalla crescente rilevanza della non autosufficienza, così come politiche di conciliazione di spessore, o ancora un’efficace politica attiva del lavoro.
Il «welfare del Sud» parrebbe, sempre più descrivibile nei termini di un modello estremo «particolaristico-clientelare» di tipo mediterraneo, basato essenzialmente sui trasferimenti monetari, sui sussidi su una qualità decisamente più povera di istruzione e sanità, ben lontana dai valori dei paesi dell’Europa, con scarsi servizi socioassistenziali, peraltro di tipo tradizionale, con «rendimenti» delle burocrazie pubbliche e dei governi locali decisamente scarsi, del tutto inadeguati ad affrontare i nuovi profili di rischio sociale e contraddistinti da una forte pervasione clientelare e mafiosa, nella «solitudine», prodotta dai processi di decentramento, con un’assai scarsa presenza del welfare categoriale e aziendale e con un Terzo settore dotato di minori potenzialità.
Approfondendo lo sguardo sul welfare del Sud emerge l’immagine di un «sistema rovesciato» Le diverse politiche sociali appaiono sempre meno efficaci, fanno riscontrare minori performance istituzionali, proprio dove maggiore è l’estensione e l’intensità delle specifiche problematiche: è così nel caso dei servizi per l’impiego, in un mercato del lavoro come quello delle regioni meridionali, dove ci sarebbe una fortissima necessità di politiche attive del lavoro; è così nel campo
dell’università dove, invece, si realizza nelle realtà accademiche meridionali una minore diffusione del diritto allo studio e una maggiore emigrazione di cervelli; è così nel campo degli assetti e delle performance del sistema sanitario; è così nell’ambito dei servizi sociali alla persona, dove un tessuto sociale sempre più impoverito e stressato avrebbe la necessità di superare definitivamente le politiche del sussidio e dell’istituzionalizzazione; è così infine nell’ambito pensionistico dove i diversi percorsi dello sviluppo economico hanno prodotto un panorama in cui le pensioni al Sud assumono più spesso l’aspetto delle pensioni assistenziali e di invalidità, e quindi di minore importo, in un ambiente caratterizzato da minori redditi da lavoro e da maggiore disoccupazione.
Lavoro pubblico, pensioni, maggiore tolleranza di comportamenti illegali (dai doveri fiscali e contributivi all’urbanistica e all’autocostruzione della casa), pochi servizi pubblici e, spesso, di qualità assai scarsa: questo è il volto che ha assunto il welfare nella gran parte delle regioni meridionali
Negli altri paesi europei le politiche sociali provano a «compensare» le differenze create dallo sviluppo economico disuguale: nelle regioni meridionali invece i due divari, dello sviluppo economico e delle politiche di welfare, sembrano cumularsi, facendo così emergere con chiarezza la sostanziale latitanza del governo centrale nelle funzioni di coordinamento, monitoraggio e valutazione degli interventi, nonché nella capacità di promuovere processi di sviluppo e di convergenza nel funzionamento delle pubbliche amministrazioni
Le distanze fra Nord e Sud, così come fra il «welfare del Nord» e il «welfare del Sud» sembrerebbero aumentate: due velocità di crescita, con un Nord che corre molto più veloce sostanzialmente in tutte le corsie.
L’impressione è che la frattura tra i due welfare si sia allargata, soprattutto da quando la devoluzione di funzioni a livello regionale (dalle politiche del lavoro a quelle della sanità) ha lasciato «sole» le classi dirigenti locali.
Ciò, peraltro, induce previsioni assai preoccupanti, qualora trovi realizzazione un modello di «federalismo» nel cui statuto non abbia il giusto peso la necessità di politiche solidaristiche e perequative.
Il passaggio da responsabilità nazionali a responsabilità locali nelle politiche di welfare rischia, infatti, di innescare nel Sud, assai spesso, effetti perversi: i processi di contaminazione clientelare e malavitosa, la particolare permeabilità e fragilità del ceto politico, la debolezza dei circuiti professionali, possono finire col produrre risultati assai distanti dalle mete che alle policy vengono assegnate.
I processi di mobilitazione di taluni segmenti della società civile e dell’opinione pubblica, la crescita non trascurabile dell’associazionismo, la maggiore capacità reattiva di alcune componenti del ceto imprenditoriale, alcune «valorose» sperimentazioni locali di pratiche sociali innovative, costituiscono segnali importanti di cambiamento, tuttavia ancora deboli, che occorre, peraltro, annotare nell’ambito delle dinamiche sociali del Mezzogiorno.
Da quanto esposto deriva la necessità di elaborare politiche differenziate per le due Italie, con una particolare attenzione al ‘Welfare del Sud’.
Innanzitutto per quanto riguarda le politiche di decentramento e di devoluzione di funzioni verso i territori regionali, occorrerebbe valutare caso per caso le ‘ capacità amministrative’ delle diverse burocrazie pubbliche e adottare, se necessario, decisioni graduali, condizionate ai processi di apprendimento organizzativo delle singole pubbliche amministrazioni.
Il gradualismo dei processi andrebbe poi accompagnato da efficaci modalità di controllo, monitoraggio e tutoraggio.
Occorre inoltre, colmare, o quanto meno, avviare a riduzione il gap in termini di servizi a partire dal funzionamento dei servizi per l’infanzia e del sistema scolastico, su cui andrebbero fatti importanti investimenti infrastrutturali e in ‘capitale umano’ .
Occorrerebbe poi modificare i meccanismi di controllo e monitoraggio della spesa sanitaria da parte dello Stato: qualora un sistema regionale fosse fuori controllo e fosse necessario un ‘commissariamento’, tale ‘tecnostruttura’ dovrà essere completamente estranea alla Regione (non può essere il Presidente della Regione !).
Occorre infine avviare sul serio un lavoro istruttorio a livello statale per arrivare quanto prima ai LIVEAS, secondo l’art.117 della Costituzione e ripristinare nel frattempo il Fondo Nazionale per le Politiche Sociali, come fondo a disposizione delle Regioni ( e dei Comuni) senza vincoli nella destinazione: ciò consentirà di realizzare seriamente quanto previsto all’art.119 della Costituzione, in un’ottica federalistica perequata.
Le nuove politiche sociali per il Mezzogiorno vanno inoltre collegate con politiche più efficaci di contrasto delle organizzazioni mafiose, le quali a loro volta non possono prescindere dalla valorizzazione e dalla promozione dei soggetti del terzo settore. La grande battaglia per un nuovo Sud passa necessariamente per azioni volte ad allargare le reti del capitale sociale e la fiducia nelle istituzioni , e porre al centro dell’attenzione i ‘beni comuni’, gli interessi generali..
Naturalmente le scelte suggerite presuppongono una forte volontà politica, un disegno condiviso a livello nazionale ed uno Stato in grado di gestire processi decisionali e organizzativi di grande complessità.
Tab.1 - Le variazioni nel tempo nel funzionamento di vari servizi di welfare territoriali: un confronto fra le due Italie
Nota: Per i tassi di copertura servizi pubblici per l’infanzia il dato tra parentesi del 2008 è riferito al tasso di copertura dei soli asili nido.
Per la sanità compaiono due indicatori sintetici, uno riferito al deficit sanitario, l’altro al più generale funzionamento del Ssr, che racchiude in sé anche l’indicatore sul deficit
Fonte dei dati: Cdaia [2002]; Istat [2010]; Oecd [2010].,
Fonte: Pavolini (2011) “Welfare e dualizzazione dei diritti sociali” , in U.Ascoli (a cura di) “Il Welfare in Italia”,Bologna, il Mulino
TAB.2 - I coefficienti di variazione nei tassi di copertura dei vari servizi di welfare territoriali: un confronto fra le due Italie
Fonte: Cdaia [2002]; Istat [2010]; Oecd [2010].
Fonte: Pavolini (2011) “Welfare e dualizzazione dei diritti sociali” , in U.Ascoli (a cura di) “Il Welfare in Italia”,Bologna, il Mulino