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Il sogno di Olivetti

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"C'è stato un momento, a metà degli anni '60 del XX secolo, in cui un'azienda italiana ebbe l'occasione di guidare la rivoluzione informatica mondiale". Inizia così "In me non c'è che futuro", il documentario di Michele Fasano su Adriano Olivetti, che sarà presentato giovedì 20 ottobre a Roma. Prodotto dall'Associazione Bruno Trentin e dalla Fondazione Adriano Olivetti, il film è un lungo e dettagliato ritratto del grande industriale: in 144 minuti viene ripercorsa la nascita e lo sviluppo della sua azienda, ma soprattutto la figura di Olivetti, capace di inventare un modello all'avanguardia che divenne - in tutto il mondo - oggetto di studio, esempio da imitare.
Nella prima parte del film, intitolata "Alle origini di un modello", il regista ripercorre la vita di Olivetti a partire dall'infanzia: dall'educazione non religiosa fino al lavoro in officina a 13 anni, che subito gli suggerì il rispetto per la fatica e la classe operaia. All'ombra della società del padre Camillo Olivetti, la prima azienda italiana di macchine da scrivere, il giovane fa esperienza di studio negli Stati Uniti e si confronta con le fabbriche della Ford; inizia così il percorso graduale che porterà al modello Olivetti, un percorso che si disloca per tutta la prima metà del Novecento.
E' così che il "modello umano" di Olivetti (che divenne direttore nel 1933) si sviluppa in maniera graduale, nella culla dello stabilimento di Ivrea; dall'attenzione verso i lavoratori e l'ascolto dei loro problemi, si passa alla formazione permanente che coinvolge anche le donne, per arrivare al vero e proprio servizio di welfare. Vengono introdotti sociologi e psicologi in azienda. Il film mostra l'asilo nido per i figli dei dipendenti, il convalescenziario di Ivrea dedicato agli operai ammalati, fino a modelli più evoluti come le colonie estive per bambini con funzione pedagogica.

Dai primi passi è subito chiara la visione di fondo dell'imprenditore: le misure non sono mai concessioni, ma è proprio questa organizzazione del lavoro che permette la riuscita dell'azienda, il successo sul mercato. "L'uomo e l'organizzazione devono costituire un equilibrio armonico. La sopravvalutazione dell'organizzazione porta a sottovalutare il lavoro delle persone", questa una sua famosa riflessione.
La vicenda dell'azienda, naturalmente, si incrocia anche con la Storia italiana. Nella seconda parte ("Il modello comunitario concreto"), il documentario rievoca il periodo fascista, che porta all'arresto di Olivetti e all'esilio in Svizzera; poi, nella fase successiva della sua vita, ristabilito l'ordinamento democratico si sofferma sull'attività politica dell'industriale, che portò alla nascita del volume teorico L'ordine politico delle Comunità (1945). Nel frattempo lo stabilimento di Ivrea conosce il suo periodo d'oro: un grande cantiere a cielo aperto, così viene descritto, che rispetta l'ambiente, si prende cura dei lavoratori e riconosce il ruolo meritorio dei sindacati.
Il regista Michele Fasano alterna immagini di repertorio con interviste agli esperti, da storici e sindacalisti agli ex dirigenti, per finire con le parole dello stesso Olivetti. Emerge una ricostruzione esaustiva e potente, che racconta la storia di un imprenditore illuminato, la sua "utopia" fondamentale da ricordare in questi anni di profitto sconsiderato. Ascoltiamo molte dichiarazioni inedite e sorprendenti, come quella dell'ex sindacalista dei metalmeccanici che ammette: "Era difficile anche per noi capire tutte le innovazioni, come l'assemblea interna e la biblioteca per i lavoratori. Eravamo abituati alla Fiat, dove il capo del personale passava tutto il giorno a convincere gli operai a non scioperare". Oppure la testimonianza di Emilio Renzi, direttore delle relazioni culturali che ricorda: "Olivetti non era un materialista, era un 'personalista': lui pensava che la società, l'economia, la psicologia e l'esistenza avessero sempre al centro la persona".

Tratto da www.rassegna.it
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