La manovra non basterà. Le misure proposte dal governo per risanare i conti e rimanere in Europa oltre ad essere inique e depressive, sono anche inutili e inefficaci e proprio dal resto dell’Unione europea arrivano richieste di nuove manovre aggiuntive. Non è stato neppure un caso che la settimana conclusiva dell’iter parlamentare della manovra si sia aperta con una missione quasi patetica di Berlusconi in Europa, mentre in qualche altra stanza del potere l’Italia cominciava a trattare con la Cina per la vendita di una parte del suo debito ormai fuori controllo e durante giornate in cui le borse hanno ricominciato la loro picchiata, bruciando ogni volta milioni di euro e la Germania ha continuato a perseverare sulla sua posizione: basta acquistare titoli di Stato.
La situazione – a detta di tutti (Emma Marcegaglia inclusa) – è ormai davvero d’emergenza, mentre i sindacati e le forze che avevano attaccato la Cgil, accusandola di irresponsabilità per aver indetto lo sciopero generale contro la manovra del governo, ora ci stanno ripensando e stanno rivedendo in fretta tutti i loro giudizi sul governo in carica.
“Ho letto delle dichiarazioni del Commissario europeo, in queste ore, che non sono propriamente rassicuranti – ha affermato lunedì sera il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso durante un dibattito alla festa del Pd a Bologna –; in una situazione generale assolutamente difficile credo che sia bene che si ragioni seriamente, perché se un paese non e’ in grado di supportare socialmente le manovre che sono state fatte bisogna davvero ripensare l’insieme dell’impianto”.
È in questo quadro che la Cgil ha deciso di rilanciare la sua mobilitazione. Lo aveva annunciato con chiarezza Susanna Camusso nel comizio di chiusura della manifestazione di Roma per lo sciopero generale del 6 settembre. E lo ha messo in pratica tutta la confederazione con due giornate no stop di presidi a Roma, in piazza del Pantheon, e davanti alle prefetture di molte altre città italiane. Camusso ha anche reso noto che se la manovra sarà confermata su alcune parti la Cgil si rivolgerà alla Corte Costituzionale. Intanto, fatta eccezione per la soppressione delle feste civili (25 aprile, Primo maggio, 2 giugno) e per la negazione della tredicesima dei dipendenti pubblici, tutte le altre misure sono state confermate e anzi il governo pare abbia ora intenzione di rimettere le mani sulle pensioni.
Si cerca di raschiare il fondo del barile e dalle notizie che sono trapelate negli ultimi giorni si è saputo che i tecnici del ministero di Tremonti starebbero lavorando sull’ipotesi “quota 100” per le pensioni: 65 anni di età anagrafica più 35 anni di contributi. Il ministro dell’Economia sarebbe anche intenzionato ad avviare una nuova grande fase di svendita del patrimonio pubblico e delle società locali di servizi pubblici. Nel testo arrivato alla Camera erano state nel frattempo confermate le misure del Senato: dallo spending review, all’accorpamento degli enti di previdenza pubblici. I tagli agli enti locali – dopo la mobilitazione della Cgil e degli stessi amministratori – sono stati parzialmente ammorbiditi, ma rimangono e avranno conseguenze dirette sui servizi.
In ogni caso le norme per i servizi pubblici locali approvate con la manovra aggraveranno ulteriormente gli obblighi per gli enti locali che decidono di mantenere un regime di esclusiva nella gestione dei servizi pubblici locali.
In attesa di arrivare a quota 100, si sono anticipate le misure previdenziali per le donne: previsto infatti l’aumento dell’età pensionabile per le lavoratrici dipendenti del settore privato e per le lavoratrici autonome e parasubordinate, che viene anticipato al 2014, così come è già avvenuto per il lavoro pubblico. L’aumento dell’età pensionabile delle donne servirà solo a fare cassa. È stato poi anticipato al 2013 l’aumento dell’età pensionabile per tutti in base alla speranza di vita (di 3 mesi), il secondo aumento scatta nel 2016 ed è pari a 4 mesi in più ogni tre anni fino al 2030, per poi prevedere aumenti di tre mesi sempre ogni tre anni dal 2030 al 2050. Inoltre ci sono le finestre mobili previste dalla rovinosa legge 122/2010 (un anno per le lavoratrici dipendenti, 18 mesi per le lavoratrici autonome e parasubordinate).
L’iniquità della manovra si misura poi con la scelta del contributo di solidarietà del 3% per i redditi oltre i 300 mila euro: si tratta di una misura poco più che simbolica visto che interessa 34 mila contribuenti, è deducibile dalla base Ires ed è calcolata al netto delle addizionali regionali e comunali. Rimane evidente la disparità di trattamento con l’analogo prelievo riguardante i redditi dei dipendenti pubblici che continua a valere sia sopra i 90 mila che sopra i 150 mila euro. Per i dipendenti pubblici, infatti, è applicato il taglio dello stipendio previsto dalla manovra dello scorso anno, del 5% sopra i 90 mila euro e del 10% sopra i 150 mila, così come per le pensioni d’oro anch’esse con un contributo del 5% sopra i 90 mila euro e del 10% sopra i 150 mila, peraltro senza alcuna deducibilità. Non parliamo poi dell’aumento dell’Iva (da 20 al 21%). Una misura che si tradurrà in un maggiore prelievo per le fasce di reddito basse e medio-basse.