Le misure varate dai leader dell'area euro per il salvataggio della Grecia costituiscono la presa d'atto di quello che tutti gli osservatori indipendenti e non accecati dall'ideologia dell'austerity ripetevano fin dalle prime decisioni di oltre un anno fa: quelle decisioni erano un clamoroso ed evidente errore e non avrebbero evitato l'avvitarsi della crisi. La responsabilità principale è della cancelliera tedesca Angela Merkel, ma non sono innocenti né gli altri leader, né i rappresentanti delle tecnostrutture europee, la Bce e la Commissione, che poco o nulla hanno fatto per ricondurla alla ragione.
La Grecia, la cui piccola economia rappresenta una frazione del Pil europeo, avrebbe potuto essere salvata, se l'intervento fosse stato tempestivo, con un impiego minimo di risorse ed evitando un anno di disordini sui mercati e di attacchi speculativi contro gli altri paesi dell'euro. Sarebbe bastato fare quello che si sta facendo ora: assicurare la sottoscrizione dei titoli di Atene a un tasso non punitivo (il 5,8% iniziale viene oggi ridotto al 3,5) e accompagnare ai tagli di bilancio, che era giusto pretendere per mettere a posto i conti in cambio degli aiuti, un piano di sostegno per evitare la recessione, che invece si è puntualmente verificata con una caduta del Pil del 3,5%. Se si provoca una feroce recessione è evidente - non per tutti, come si è visto - che il paese non sarà in grado di uscire dalla spirale negativa.
Ma c'erano le elezioni in Nordreno-Westfalia e la Merkel, in svantaggio nei sondaggi, non voleva dare agli elettori tedeschi l'impressione che i loro soldi venissero usati per aiutare i greci spreconi. Nello stesso tempo, però, sapeva bene che anche la Germania era direttamente coinvolta dal problema: un default della Grecia avrebbe provocato il fallimento di importanti banche tedesche imbottite di titoli pubblici greci (come quelle francesi). Così scelse una linea intermedia: sì agli aiuti, ma a condizioni che dovevano apparire - ed effettivamente erano - tremendamente punitive. Ottenendo così di non risolvere entrambi i problemi: nè quello interno, visto che le elezioni si sarebbero risolte con una sua clamorosa sconfitta, nè quello della Grecia, che avrebbe poi generato la crisi di tutta la zona euro a cui abbiamo assistito.
Di fronte a un errore strategico così eclatante sarebbe dovuta nascere una sollevazione, sia da parte degli altri leader europei, sia soprattutto da chi dovrebbe essere tecnicamente attrezzato per denunciarlo e ne avrebbe anche il compito istituzionale, ossia la Commissione europea e la Bce. Ma queste due istituzioni hanno trasformato una buona regola come quella dell'equilibrio di bilancio, che va certamente perseguita ma senza prescindere dalla situazione generale, in un feticcio. Potevano opporsi alla severa punizione degli "spendaccioni" greci? E infatti non si sono opposti.
Un altro colpevole ritardo è quello che riguarda il ruolo delle agenzie di rating. E' dall'inizio della crisi che i leader europei fanno la voce grossa contro di loro, lamentandosi degli effetti dei loro giudizi, che peraltro hanno dato numerose prove di scarsa attendibilità. Ma non hanno ancora fatto (nè loro, nè la Bce, nè la Banca dei regolamenti internazionali) la sola cosa sensata che sarebbe necessaria: eliminare il valore legale dei rating, come proposto ormai quasi due anni or sono dalla Commissione de Larosiére (istituita dalla Ue) e poi dal Financial Stability Board presieduto da Mario Draghi. I leader ora sollecitano la Commissione a presentare una proposta per limitare il peso delle agenzie, ma una delle ipotesi per ottenere questo scopo è di crearne una europea che faccia loro da contraltare: quale credibilità avrebbe, dato il ragionevole sospetto che i suoi giudizi sarebbero politicamente influenzati? E ancora nemmeno si parla di altri provvedimenti che sarebbe invece fondamentali, come la separazione dell'attività bancaria di prestiti all'economia da quella di investimenti in conto proprio, del controllo dei mercati non regolamentati, del sistema bancario "ombra". E si potrebbe proseguire.
Perchè la lezione della vicenda greca è importante? Perchè mette in evidenza il fallimento di una linea che, fatte le debite differenze e proporzioni, è applicata a tutta la zona euro, con la prevalenza data agli aggiustamenti di bilancio invece che alla crescita. Ora sono in tanti ad accorgersene e a denunciare gli errori che sono costati cari alla credibilità dell'eurozona. Non vorremmo che si dovesse aspettare ancora qualche anno per capire che, nonostante il salvataggio in extremis della Grecia (ammesso che funzioni) l'eurozona continua a essere sottoposta a un'assurda cura da cavallo di riequilibrio finanziario in uno scenario di sostanziale stagnazione, con gli investimenti privati fermi e quelli pubblici bloccati. Prima o dopo si dovrà prendere coscienza che, senza una politica di carattere generale - si veda il tema irrisolto degli eurobond, sia come contrasto alla speculazione dei mercati finanziari sia come strumenti di rilancio degli investimenti - l'eurozona si condanna ad anni di ristagno e di disoccupazione.