L’Europa ci invita a stabilire la parità di pensionamento tra uomini e donne nel pubblico impiego. Molto bene, ci stiamo. A patto che siano ristabilite anche alcune parità con gli altri paesi europei: con il riconoscimento di contributi figurativi per la cura dei figli, con orari flessibili, con un sistema di servizi molto più strutturato e avanzato, ecc. ecc. Insomma con il riconoscimento del lavoro di cura (per le donne e per gli uomini). E con il riconoscimento della maternità come valore sociale.
Invece, in Italia, avere un figlio oggi è una sfida. Il mercato del lavoro è cambiato ma le leggi restano indietro. Tutta la legislazione sulla maternità, infatti, è stata costruita per le lavoratrici “standard”, quelle dipendenti e a tempo indeterminato, ma solo una parte delle giovani donne rientra oggi in questa categoria. E tutte le altre? Collaboratrici a progetto, professioniste e partite Iva, lavoratrici precarie, donne che ancora non lavorano? A guardare gli ultimi dati Istat, c’è da restare stupefatti: il 43% delle donne italiane con età inferiore ai 40 anni (ma ben il 55% di quelle che ne hanno meno di 30), se decidono di avere un figlio non accedono alla maternità con tutti i diritti previsti dalla legge: non ricadono infatti tra le lavoratrici dipendenti a tempo indeterminato che sono il “target” di riferimento della legge 53/2000. Le madri si scontrano con le tutele scarse e, in alcuni casi, assenti, di un welfare non a passo coi tempi, oltre che con la scarsa offerta di servizi all’infanzia. Il risultato è, spesso, la scelta di non avere figli o, viceversa, l’abbandono del posto di lavoro dopo la nascita di un bambino. I padri non sempre se la passano meglio: disincentivati da indennità risibili, malvisti dalle aziende se chiedono il congedo, precari. Nel confronto con i paesi dell’Europa allargata, l’Italia si colloca in posizione medio-bassa anche sul fronte dei congedi: 14 mesi dalla nascita del figlio (e poco indennizzati), contro i 34 della Germania, i 36 di Francia e Norvegia e i 24 dell’Austria.
E’ in base a queste considerazioni che il gruppo Maternità & Paternità ha elaborato una serie di proposte:
• Indennità di maternità universale
Un importo da corrispondersi per cinque mesi a tutte le madri, indipendentemente dal fatto che siano dipendenti o autonome, stabili o precarie, che lavorino o non lavorino ancora
• Congedi parentali più lunghi e flessibili ed estesi a tutte le categorie di lavoratori
18 mesi di congedo, di cui almeno 6 vincolati all’uso da parte del padre, pagati al 60% e fruibili anche dagli iscritti alla gestione separata, possibilità di utilizzare il congedo sotto forma di part-time, 10 giorni di congedo di paternità obbligatorio, ore “allattamento” anche per le lavoratrici non dipendenti.
• Supporti alla continuità del lavoro e del reddito durante i periodi di cura
Voucher formativi e aiuti in caso di perdita del posto di lavoro o di drastica riduzione dell’attività professionale
• Riconoscimento del lavoro di cura a livello pensionistico
“Crediti di cura”, sotto forma di contributi figurativi legati al numero dei figli (da corrispondersi in luogo del vecchio beneficio dell’anticipo della pensione per le donne) e integrazioni contributive per i periodi di lavori part-time dovuti ad impegni di cura (si veda il link alla proposta completa al termine dell’articolo).
Il gruppo. Formato inizialmente da Marina Piazza, Anna M. Ponzellini e Anna Soru, il Gruppo Maternità&Paternità si è costituito nel 2009 con l’obiettivo di elaborare una risposta alla proposta governativa di allungare l’età pensionistica delle donne del Pubblico Impiego, scambiando un “privilegio” datato e generalizzato con un riconoscimento mirato - materiale ma anche simbolico - del lavoro di cura. Il gruppo si è poi ampliato con la partecipazione di Sabina Guancia, Maria Benvenuti, Caterina Duzzi e altre giovani madri e padri. Il gruppo ha lavorato in questi mesi per elaborare una proposta più complessiva che interagisca sia con i gruppi di madri e padri, sia con i/le decisori politici, impegnati/e in questa fase su varie proposte di legge.
Obiettivo del gruppo è quello di dare il via ad un percorso di unificazione in chiave universalistica e di riequilibrio del sistema di welfare che allarghi i diritti sociali e di cittadinanza a chi, senza distinzione tra donne e uomini (secondo il principio del caregiver universale), presta attività di cura. La cura – che è attività umana essenziale e ha un valore irrinunciabile - deve entrare nella polis, ridisegnando una nuova mappa del welfare.
La proposta - che resta naturalmente aperta a ulteriori contributi - nasce in un contesto molto cambiato rispetto a quello, più tradizionale, in cui era maturata la legge 53. Un contesto diverso dal punto di vista del mercato del lavoro, visto che oggi si parla di una generazione fatta spesso di laureate, di lavoratori e lavoratrici precari, intermittenti, in professioni autonome. Un contesto diverso dal punto di vista culturale, fatto di maggiore equilibrio nelle responsabilità di cura nelle coppie, di mamme che fanno sentire la propria voce sul web interrogandosi nella scelta tra lavoro a tempo pieno e part time, tra delegare la cura dei figli e occuparsene direttamente, in cui forse all’era delle acrobazie e dei sensi di colpa delle madri si va lentamente sostituendo quella della consapevolezza, del doppio-sì, della scelta personale. E’ cambiato anche il sistema pensionistico, col sistema contributivo che va comunque a togliere ogni appeal al vecchio beneficio dell’anticipo della pensione per le donne. Sono cambiati i modelli di welfare di riferimento: smorzato il fascino dell’irragiungibile modello nordico basato sul mix servizi pubblici e piena occupazione femminile, si apprezza la duttilità del modello francese che affianca ad una offerta di servizi pubblici e privati, consistenti trasferimenti monetari alle famiglie.
Anche dal punto di vista teorico, la proposta si presenta con caratteristiche di novità rispetto al modello del welfare italiano – che da molti anni professa aspirazioni nordiche ma resta in sostanza familista - e alla tradizionale legislazione di “tutela”. Innanzitutto, vuole derivare dal riconoscimento materiale e simbolico del lavoro di cura una nuova idea di cittadinanza e dei relativi diritti, non più solo basati sul lavoro retribuito: per questo chiede che l’indennità di maternità sia riconosciuta a tutte le madri (anche a quelle che temporaneamente non lavorano), che vengano riconosciuti benefici pensionistici alle madri e ai padri che hanno allevato figli (come già succede in molti altri paesi), che chi ha avuto periodi di lavoro part time per ragioni di cura possa usufruire di integrazioni contributive. Attraverso questa nuova idea di welfare, si vuole anche realizzare il definitivo passaggio verso l’universal caregiver, teorizzato da Frazer e Orloff come superamento della opposizione di genere tra breadwinning e caregiving, in modo che, in un mondo in cui tutti – uomini e donne - lavorano, le madri (e le donne in generale) non vengano più considerate le uniche responsabili sociali della cura e gli uomini “diventino più simili a quello che sono adesso le donne, cioè persone che forniscono cure primarie”: per questo, la proposta mira a riconoscere ai padri gli stessi diritti che alle madri e anche incentivi specifici e specifici benefici per la paternità. Guardando ai diversi modelli di cura e di welfare possibili, la proposta evita orientamenti ideologici di qualsiasi natura, mirando semplicemente all’allargamento della libertà di scelta delle madri e dei padri nelle strategie di cura, tra servizi pubblici, servizi di mercato e cura diretta: per questo chiede una normativa sui congedi che renda economicamente possibile anche l’opzione di un distacco prolungato per curare i figli, pur senza assolutamente negare l’importanza della diffusione di asili nido pubblici e privati (nonché a costo contenuto), nella consapevolezza che il lavoro è ormai irrinunciabile per le giovani donne. Infine, la proposta condivide il nuovo orientamento generale del welfare a fornire, più che tutele, strumenti per aumentare le capacità dei singoli di fronteggiare i rischi, secondo l’idea di Sen e Nussbaum che lo stato deve promuovere le capabilities degli individui e creare opportunità per lo sviluppo umano: in questo senso la proposta chiede politiche attive per la continuità del lavoro di quei genitori che non hanno impieghi stabili e che rischiano di non raggiungere un reddito sufficiente per sé e per la propria famiglia.
Qui matpat.pdf il testo completo della proposta del gruppo Maternità&Paternità