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In Italia la privatizzazione dei servizi idrici passa attraverso la mistificazione giuridica ed economica, “forzando” i meccanismi democratici (con la richiesta della fiducia sulla conversione del D.L. 135/09 in assenza, peraltro, del requisito dell’urgenza), ignorando la proposta di legge di iniziativa popolare per la ripubblicizzazione dei servizi idrici (sottoscritta da oltre 406.000 cittadini, a fronte di 50.000 firme necessarie) e espropriando gli enti locali dei loro compiti e funzioni (vedi “Acqua. La mistificazione al potere”).

Se l’esercizio della sovranità popolare viene “svuotato” di senso e di sostanza, la popolazione diventa una “posta” nelle mani di chi esercita il potere (Raffestin, 1981) e di chi costruisce la rappresentazione dominante (Dematteis, 1991) e diffonde la “narrazione” (Petrella, 2005) dell’individualismo, della competizione e della mercificazione. Una rappresentazione che “naturalizza” la prevalenza del profitto sui diritti umani, fino a considerare e a presentare come “normale” l’inibizione dell’erogazione dell’acqua per morosità (ultimo caso noto a Zingonia, nel bergamasco: clicca QUI per un esempio di un articolo in proposito) e argomentazioni come quella dell’amministratore delegato di Acqualatina SpA, Silvano Morandi il quale sostiene che «se il cittadino non vuole avere il servizio idrico da parte di Acqualatina non deve far altro che dare disdetta e approvvigionarsi in modo differente con un pozzo e con una fossa imhoff»! (intervista al TG3, come ripresa dal Forum italiano dei Movimenti per l'Acqua; clicca QUI)

Una narrazione in cui l’economia è assunta a sinonimo di mercato, la finanza è speculazione, la politica è in funzione elettorale e la popolazione diventa posta, merce e moneta del mercato del consenso. Tuttavia, ogni rappresentazione è arbitraria e “le rappresentazioni normali sono vere nella misura in cui le accettiamo e le traduciamo acriticamente nelle nostre immagini mentali” (Dematteis, 1991, p. 148). La realtà – per quanto “dominante” – non è qualcosa di “dato” della quale non resta che prendere atto ma è una costruzione (Staszak, 1997) e nella misura in cui «l’immaginazione collettiva della realtà entra in conflitto con tali rappresentazioni e se ne formano di nuove, capaci di soppiantare le precedenti, ciò contribuisce a trasformare l’ordine ad esse corrispondente (Dematteis, 1991, p. 148). E’ nella popolazione, dunque, che “risiedono le capacità virtuali di trasformazione. Essa è l’elemento dinamico da cui procede l’azione […] e che può dare scacco alla manipolazione di cui è oggetto» (Raffestin, 1981, pp. 69, 91).

 

Nel caso dell’acqua, la percezione diffusa della risorsa come bene comune e gli effetti della privatizzazione hanno generato un rifiuto diffuso della sua mercificazione, la messa in discussione della legittimità del controllo privato e una graduale presa di coscienza generale delle strutture di potere sono, in Italia – come nel resto del mondo –, alla base di movimenti popolari per l’appropriazione sociale non solo di un bene vitale ma anche della pratica democratica.

 

In risposta alla privatizzazione dei servizi idrici disposta con l’art. 15 del D.L. 135/09, il movimento per l’acqua (costituitosi in Forum nel 2006) - utilizzando lo spazio accessibile (cioè quello pubblico), fisico (le piazze) e virtuale (siti internet, facebook e blog) - ha raccolto in pochi giorni 45.000 firme a sostegno dell’appello per chiedere ai parlamentari di non convertire in legge il D.L. 135/09. Ma la fiducia posta dal governo ha “ingessato” il voto e il decreto è stato approvato con 302 voti a favore e 263 contrari (http://parlamento.openpolis.it/votazione/30481), aumentando la distanza fra i cittadini e le istituzioni e contribuendo a rafforzare l’immagine di una politica con la quale sempre più persone trovano difficile identificarsi. Per superare il “disorientamento” il Forum ha esplorato altri possibili percorsi coinvolgendo gli altri livelli istituzionali (Comuni, Province e Regioni).

 

Alle Regioni è stato chiesto di impugnare l’art. 15 del D.L. 135/2009 dinanzi alla Corte Costituzionale sulla base, fra le altre cose, della mancanza dei requisiti di necessità e urgenza per l’emanazione dei decreti-legge (art. 77 della Cost.) e per la violazione della suddivisione delle competenze fra Stato e Regioni (artt. 117 e art. 127 della Cost.). A oggi, hanno annunciato il ricorso la Puglia, le Marche, il Piemonte e la Liguria mentre altre Regioni stanno valutando l’ipotesi (per un approfondimento giuridico si veda Lucarelli 2007, 2009A, 2009B; Lucarelli e Patroni Griffi, 2009).

 

Nel contempo sono state avviate delle petizioni popolari (www.acquabenecomune.org/spip.php?article6609) per chiedere a Province e Comuni titolari del servizio di introdurre nei rispettivi Statuti il principio dell’acqua come bene comune e diritto umano inalienabile e del servizio idrico come servizio di interesse generale, privo di rilevanza economica, da gestire attraverso soggetti di diritto pubblico. L’integrazione degli Statuti, nonostante il decreto convertito in legge, costituirebbe un “paletto” giuridico oltre che politico ai processi di privatizzazione in corso sulla base dei principi di autonomia e decentramento garantiti dalla Costituzione (artt. 5, 114) e del diritto europeo che – derogando alla regola della concorrenza proprio per i servizi pubblici essenziali in virtù della specialità del regime giuridico e della materia sulla base di «una diretta e immediata riconducibilità della stessa all’effettiva tutela dei diritti fondamentali della persona» (Lucarelli, Marotta, 2006) - attribuisce ai singoli Stati membri e alle loro “suddivisioni costituzionalmente riconosciute” (in Italia le autonomie locali) il compito di definire i servizi con rilevanza economica e quelli privi.

 

Tuttavia, non esiste alcuna legge italiana in tal senso (benché il legislatore avesse assunto tale impegno nell’art. 35 della legge finanziaria del 2002) e a questo compito non assolve neanche l’art. 15 del D.L. 135/09 ora trasformato in legge. Del resto, quest’ultimo disciplina i servizi pubblici locali di rilevanza economica - fra cui quelli “in materia di acqua” - ma questo non significa che tutti i servizi idrici siano da considerarsi “automaticamente” di rilevanza economica. Dunque, dai presupposti giuridici esposti e con riferimento alla sentenza della Corte Costituzionale 272/2004 - che definisce i servizi locali “privi di rilevanza economica” non su base formale ma sulla base di elementi sostanziali (i servizi devono “apparire” tali in ordine a: soggetto erogatore, caratteri e modalità della prestazione, destinatari) - le autonomie locali possono definire il servizio idrico “privo di rilevanza economica” sottraendolo alla disciplina del mercato e, quindi, alla competenza del legislatore statale in tema di tutela della concorrenza (art. 117 Cost.). Del resto, sulla base di tale assunto la Corte costituzionale (nella stessa sentenza) ha dichiarato l’incostituzionalità di alcune norme che determinavano un’illegittima compressione dell’autonomia locale in materia di servizi pubblici locali (art. 14, comma 1, 2, D.L. 269/2003) o che disciplinavano a livello statale i servizi pubblici locali privi di rilevanza economica (art. 113 bis, d.lgs. 276/2000).

 

Appare chiaro che la disputa si muove sul “filo” del diritto e ciò che si configura è una competizione (all’ultimo cavillo giuridico) per lo spazio di gestione dei servizi idrici, secondo logiche, finalità, interessi e valori contrapposti. A tale riguardo è interessante osservare come a livello istituzionale la contrapposizione, lungi dall’essere ideologica, è la conseguenza della polarizzazione dei poteri che “trascende” i colori politici e “lacera” i partiti. Ad esempio, la privatizzazione voluta dal PDL non è distante dalla posizione della dirigenza nazionale del PD (come dimostrano il Disegno di Legge “Lanzilotta” sulla liberalizzazione dei servizi pubblici locali e le recenti dichiarazioni del segretario nazionale Bersani) che, tuttavia, appare sempre più lontano dalla visione e dalla volontà di una parte crescente del partito (istituzionali, iscritti, simpatizzanti) fino a creare situazioni di grave empasse politica. Del resto anche la Lega è divisa: a livello nazionale i parlamentari hanno votato la fiducia per la conversione del D.L. 135, a livello territoriale sindaci e amministratori si battono per l’acqua pubblica.

 

Così accade che alla volontà di privatizzare del governo si contrapponga quella di numerosi Enti Locali (di coalizioni diverse) che, recependo alcune istanze popolari, sanciscono – attraverso delibera o integrazione dello Statuto – l’interesse generale e la non rilevanza economica dei servizi idrici (vedere Carta), fino ad avviare processi di ripubblicizzazione di cui, al momento, il caso più rilevante è quello della Puglia (dove il servizio è fornito dall’acquedotto più grande d’Europa, trasformato - con d.lgs. 141/99 dell’allora governo D’Alema - in una SpA di proprietà della Puglia e della Basilicata). Un processo travagliato, irto di difficoltà (la cui analisi, per ragioni di spazio, si deve rinviare) che nel luglio 2009 ha portato all’apertura di un tavolo d’interlocuzione fra il Forum dei Movimenti per l’Acqua (pugliese e italiano) e il Governo pugliese e all’elaborazione condivisa di un testo di delibera – presentato da un assessore del PD e approvato all’unanimità il 20/10/09 - con la quale oltre a stabilire i principi di cui sopra, assume l’impegno di trasformare l’acquedotto da SpA in ente di diritto pubblico con partecipazione sociale (www.acquabenecomune.org/spip.php?article6640 ). A tale scopo, la Regione ha istituito un tavolo di lavoro con il Comitato pugliese e il Forum nazionale, denominato “Acqua Bene Comune dell’Umanità”, con il compito di predisporre una bozza di legge da presentare in Consiglio entro la fine della corrente legislatura.

 

E’ importante osservare che quello che accade non è in controtendenza ma in linea con quello che avviene a livello mondiale ed europeo dove – per usare una metafora di Dematteis (1991, p. 156) – «il magma informe e sotterraneo delle rappresentazioni negate alimenta eruzioni locali e regionali che portano talvolta a diffondersi e consolidarsi alla luce del sole» dando vita, in questo caso, a una visione collettiva dei beni comuni, a una sua “normalizzazione” legislativa e culturale e a una moltitudine di iniziative per l’appropriazione sociale. Quest’ultima, che ha trovato a livello mondiale un punto di riferimento culturale e programmatico nel Manifesto del Contratto mondiale sull’acqua (Petrella, 2001), si fonda non solo sul governo pubblico – condizione necessaria ma non sufficiente per una gestione democratica – ma anche su meccanismi di controllo e partecipazione sociale finalizzati a garantire l’interesse collettivo (efficacia sociale, efficienza economica e sostenibilità ambientale) e, dunque, una gestione trasparente, “libera” dal profitto e dalla politicizzazione. L’appropriazione sociale dell’acqua sembra, così, configurarsi come una sorta di territorializzazione democratica degli spazi di gestione del potere sottratti alla rappresentazione dominante che potrebbe divenire la chiave di un cambiamento culturale e politico più generale.

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