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Sembra ormai che argomenti umanitari di natura politica e filosofica non riescano più ad avere il giusto peso nel dibattito sui fenomeni migratori e, ancora peggio, siano sempre più spesso attaccati come buonisti o a intimamente favorevoli ad un pericoloso lassismo. Per questo, a chi si propone di far emergere tutte le contraddizioni insite nelle politiche di respingimento (non solo fisico ma anche e soprattutto sociale e culturale), tocca sempre più spesso fare ricorso a statistiche e numeri. Non basta più cercare di fare riflettere sull’enorme gravità insita nell’attuazione di politiche che violano sistematicamente i diritti umani (diritto alla vita, ad un’esistenza dignitosa, all’autodeterminazione, ad un giusto processo), l’unico argomento che sembra ancora veramente in grado di distrarre l’opinione pubblica da pensieri squisitamente discriminatori è quello della convenienza economica. Pur rimanendo ferma in chi scrive la convinzione che tali argomenti non siano altro che strumenti al supporto di principi assoluti, cerchiamo qui di fare un bilancio economico del fenomeno immigratorio, mettendo insieme da un lato i dati disponibili sulla spesa pubblica per le politiche di contrasto e di sostegno e dall’altro di farci un’idea di quanto possa essere il contributo degli immigrati al nostro sistema di welfare.

Premettiamo che la raccolta di dati e statistiche sui fenomeni migratori in Italia non è un lavoro agevole. Fino al 2004 la Corte dei Conti dedicava uno spazio del suo rendiconto annuale sulle spese sostenute per fronteggiare l’immigrazione dal Ministero dell’Interno. Si trattava di un’analisi parziale ma assai utile, considerato che molte fonti ministeriali non sono facilmente accessibili ai ricercatori, che è stata interrotta a causa delle insistenze del Governo che ha evidentemente deciso di rendere sostanzialmente impossibile l’accesso a certi dati. Del resto la stessa Corte nell’ultima relazione denunciava le difficoltà incontrate “nel voler individuare compiutamente le risorse complessive che il bilancio dello Stato destina alla politica dell’immigrazione, attesa la ripartizione della spesa tra numerosi soggetti, cui sono attribuite competenze in materia e la non facile individuazione delle relative voci di spesa in alcuni bilanci”.

 

Spese di contrasto

 

Iniziamo quindi cercando di capire quanto ci costa questa sbronza securitaria.

 

Solo per l’introduzione del reato di clandestinità e per il prolungamento dei tempi di sanzione amministrativa, il nuovo pacchetto sicurezza prevede un onere per lo Stato pari a quasi 290 milioni di euro in tre anni dal 2009 al 2012 (giusto per avere un’idea delle dimensioni della spesa, il Fondo per l’inclusione sociale degli immigrati, che sembra essere stato cancellato per 2009, per il 2008 era finanziato con 5,1 milioni). In particolare 139 milioni, sempre in tre anni, andranno a finanziare la costruzione e ristrutturazione dei Centri di Identificazione ed Espulsione (CIE). A questi ultimi vanno sommati quelli già previsti da un’altra legge, approvata nel 2008, in cui si stanziavano oltre 100 milioni per il quadriennio 2008-2011. In totale nei prossimi anni spenderemo oltre 237 milioni per i CIE. Del resto una relazione tecnica redatta dal Parlamento stima che con l’introduzione del prolungamento del periodo di trattenimento il tempo medio di permanenza passerà da 27 a 120 giorni, facendo aumentare il fabbisogno di posti di 3.480 unità da ottenere attraverso il riadattamento delle strutture esistenti e la costruzione di nuovi centri.

 

Infine, è opportuno fare un cenno alle disposizioni che dovrebbero garantire una maggiore sicurezza nelle nostre città. Se nella Finanziaria approvata nel 2008 sono stati adibiti 3000 militari a “servizi di perlustrazione e pattuglia” a supporto delle Forze di polizia e sono stati stanziati 100 milioni di euro per il Fondo per la realizzazione di iniziative urgenti occorrenti per la sicurezza urbana, nel 2009 il contingente di militari è stato aumentato di 1250 unità e sono stati stanziati altri 30 milioni di euro per il 2009 e 42,5 per il 2010.

 

Ciliegina sulla torta, metà del gettito derivante dal contributo che andrà dagli 80 fino ai 200 euro per richiedere il permesso di soggiorno andrà a finanziare il Fondo rimpatri non solo verso i paesi di origine ma, nel caso i primi non dovessero collaborare, verso i paesi di provenienza. Peccato per chi passi per la Libia.

 

Del resto si sa che sono soldi spesi bene, visto che gli immigrati vengono qui o per rubarci il portafoglio in autobus o per rubarci il lavoro, possibilmente entrambe. Inaspettatamente per confutare questi due grandi classici del dibattito italiano ci viene in aiuto addirittura la Banca d’Italia, che in fondo sa bene come l’immigrato/mano d’opera a basso costo/possibilmente in nero, sia vitale per le imprese italiane. Sono due i lavori a cui facciamo riferimento. Il primo è un breve articolo scientifico in cui si dimostra, con ricercate tecniche statistiche, che, se è vero che si osserva nei dati una relazione positiva tra presenza di immigrati e criminalità, gli stessi dati non permettono di stabilire un nesso causale tra i due fenomeni. Insomma, le regioni in cui i crimini, la maggior parte (80%) contro il patrimonio, sono più diffusi sono quelle più ricche dove c’è più lavoro e che hanno ovviamente attratto più stranieri. Il secondo, prontamente bollato dai Ministri leghisti come una «balla colossale» e anche tendenzialmente pericolosa, afferma, chiaramente con intento sovversivo, che la crescente presenza straniera "non si e' riflessa in minori opportunita' occupazionali per gli italiani" che, anzi, "sembrano accresciute per gli italiani piu' istruiti e per le donne".

 

Spese di sostegno

 

Passiamo qui alle spese per l’accoglienza, analizzando i dati sulla spesa sociale dei comuni italiani, che sono gli Enti intitolati ad erogare una parte importante dei servizi sociali. Scopriamo che il 2,5% della spesa totale, che nel 2006 arrivava a quasi 6 miliardi di euro (sembrano tanti ma non arrivano ad essere nemmeno lo 0,4% del PIL, una delle spese pro-capite più basse d’Europa pari a circa 100 euro), ovvero 150 milioni di euro, è destinato a servizi sociali specificamente rivolti ad immigrati e nomadi. Si tratta di servizio sociale professionale, mediazione culturale, assistenza domiciliare, contributi economici a vario titolo e strutture residenziali. Con 2,8 milioni di stranieri residenti, la spesa pro-capite è di circa 53 euro. Questi dati rappresentano una media dei valori italiani, ma sul nostro paese sono presenti grandi differenze territoriali. Le regioni dove la quota di spesa per l’integrazione e l’assistenza agli immigrati sul totale è maggiore sono le regioni centrali: l’Umbria arriva al 5,3% contro una media nazionale che, come è stato detto arriva al 2,5%, mentre grandi regioni del nord a forte presenza straniera come Lombardia e Veneto non arrivano a superare la media nazionale. La Puglia, che nemmeno riesce a superare la media, è la regione del Sud con il valore più alto. Per quanto riguarda la spesa pro capite si passa dai quasi 180 euro spesi a Bolzano ai 22 euro spesi in Calabria. Ovviamente non tutti gli immigrati usufruiscono dei servizi ma, nonostante l’ISTAT non fornisca il dato complessivo, sappiamo che sono circa in 240 mila quelli che si sono rivolti agli sportelli di assistenza sociale, 350 mila quelli interessati da interventi di integrazione sociale e solo 40 mila quelli che hanno usufruito di interventi e servizi educativo-assistenziali e per l'inserimento lavorativo. Quindi solo una piccola parte della popolazione straniera residente in Italia è stata raggiunta dalla spesa per integrazione ed accoglienza.

C’è da aggiungere però che gli stranieri usufruiscono di tutti i servizi assicurati dagli Enti Locali a chiunque risieda stabilmente nel nostro paese, quali assistenza agli anziani o ai disabili, assistenza alle famiglie povere nella forma di assegnazione di alloggi o di assegni, senza ovviamente che questa spesa venga contabilizzata come spesa diretta verso gli stranieri. E sicuramente usufruiscono del Servizio Sanitario Nazionale, della previdenza sociale e della pubblica istruzione erogati direttamente dallo Stato Centrale.

 

Ma non si tratta di un “pasto gratis”: i lavoratori stranieri contribuiscono, pagando le tasse e i contributi, al finanziamento dei servizi di cui beneficiano.

 

Nel 2007 l’INPS contava tra gli iscritti quasi 2,2 milioni di lavoratori stranieri che complessivamente hanno versato contributi per un totale di quasi 7 miliardi di euro, ovvero circa il 4% dei contributi versati in Italia. D’altro canto le prestazioni erogate a cittadini nati all’estero ammontavano a circa 285 mila, pari ad un esborso di 23,3 milioni di euro: si tratta di una percentuale esigua ovvero l’1% della spesa totale. Si tratta, dunque, di un bilancio abbondantemente attivo.

 

Ovviamente i lavoratori stranieri pagano anche le tasse sul reddito, il gettito IRPEF per il 2007 ammonta a 1,3 miliardi di euro a cui vanno sommati 270 milioni di addizionali comunali e regionali.

 

Di sicuro non si possono confrontare le voci di spesa (per sostegno e contrasto), con le entrate derivanti dalle tasse e dai contributi pagati dai lavoratori stranieri. Per fare questo bisognerebbe aggiungere alla voce riguardante le spese quelle sostenute dallo Stato per l’istruzione pubblica, per garantire il servizio sanitario, per non parlare di strade, uffici pubblici e genericamente tutti i servizi garantiti a chi risiede nel nostro Paese.

 

Ma quello che sì è legittimo denunciare è che, prendendo come esempio il 2009, il nostro Stato metterà in campo risorse per almeno 235 milioni di euro in politiche securitarie (mancano le spese di gestione ordinaria dei CIE) mentre solo 150 milioni andranno a finanziare politiche di accoglienza e integrazione (supponendo che la spesa dei Comuni non sia variata sensibilmente tra il 2007 e il 2009).

 

Ed ecco tradotta in numeri una lampante volontà politica.

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