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Con la firma del Presidente della Repubblica si conclude l’iter procedurale dei primi due Regolamenti attuativi dell’art. 64 della legge 133 che diventano pertanto definitivi. Com’è noto i Regolamenti approvati riguardano la riorganizzazione della rete scolastica, l’utilizzo delle risorse umane, la revisione dell’assetto ordinamentale della scuola dell’infanzia e del primo ciclo dell’istruzione. Con la prossima pubblicazione in Gazzetta Ufficiale i due Regolamenti potranno entrare immediatamente in vigore e, tra l'altro, consentire il varo del decreto interministeriale sugli organici atteso, con la relativa circolare, nei prossimi giorni. Vediamo, a questo punto, di riepilogare in sintesi quali sono gli effetti sulla scuola pubblica.
La riduzione del tempo scuola e dell’offerta formativa
Innanzi tutto con i nuovi regolamenti per la prima volta nella scuola dell’obbligo il tempo scuola arretra e si riduce anche l’offerta formativa rivolta agli adulti . Già dal prossimo anno scolastico la riduzione degli organici e delle compresenze impedirà a molte classi della scuola primaria di mantenere l’offerta formativa di trenta ore settimanali e/o di confermare i rientri pomeridiani perché non ci saranno le disponibilità di personale docente e ausiliario per coprire la mensa scolastica.
Anche nella scuola secondaria di primo grado il tempo scuola arretra, tutti i modelli di tempo normale con orari superiori alle 30 ore settimanali non saranno più possibili e il tempo prolungato sarà pesantemente ridotto a causa dei nuovi vincoli da rispettare per autorizzarlo (garantire il funzionamento di un corso intero ed esistenza di strutture e servizi per almeno due o tre rientri pomeridiani).
Nell’istruzione degli adulti per il prossimo anno scolastico si prevede un taglio di 1500 insegnanti ed una conseguente riduzione dei moduli e dei corsi la cui attivazione dovrà far riferimento non più agli iscritti ma alla serie storica degli studenti scrutinati e che hanno conseguito una certificazione relativa ai saperi previsti per l’obbligo di istruzione.
Nella scuola primaria il disegno del governo di riduzione del tempo scuola è assai più radicale e punta a far diventare “tempo normale” l’articolazione oraria di 24 ore settimanali (la più coerente con il modello del maestro unico), ma dopo gli scioperi e le manifestazioni dello scorso autunno ha dovuto limitarsi a proporla e a sponsorizzarla. Con scarso successo visto che solo il 3% dei genitori ha scelto questo modello nelle iscrizioni.
La riduzione del tempo scuola nella scuola di base non risponde alle esigenze di offrire a tutti maggiori opportunità di successo scolastico né alle esigenze familiari e sociali.
In questi anni la diffusione del tempo pieno e prolungato e in generali di modelli scolastici con tempi lunghi e distesi ha ridotto la dispersione nella scuola di base e ha potenziato le capacità di decondizionamento sociale della scuola.
L’imposizione del modello del maestro unico nella scuola primaria
Il regolamento del primo ciclo impone alla scuola primaria il modello maestro unico o prevalente a partire dalle prime classi del prossimo anno scolastico, mentre il tempo pieno (25% delle attuali classi) continuerà ad avere due docenti per classe e si potrà attivare nei limiti dell’organico assegnato (rimane confermato il numero dei posti attivati complessivamente per l’a.s. 2008/09).
Le compresenze sono cancellate in tutte le classi della scuola primaria che, in questo modo, perde la principale risorsa per realizzare attività essenziali: recupero, percorsi individualizzati, attività di arricchimento, laboratori, uscite didattiche.
Inoltre, la decisione di imporre il modello del maestro unico attraverso una norma generale rappresenta una palese invasione di campo dell’autonomia scolastica sulla base della quale (vedi Dpr 275/99) le decisioni circa le modalità di organizzazione didattica sono di competenza delle scuole.
Vengono in questo modo eliminati tutti gli aspetti qualitativi che hanno fino ad oggi permesso alla scuola primaria italiana di conseguire risultati positivi riconosciuti in tutte le indagini internazionali: gruppo docente corresponsabile, specializzazione degli insegnanti per ambiti disciplinari, programmazione unitaria, tempi distesi, compresenze per individualizzare i percorsi e arricchire i curricoli.
L’insegnamento solo frontale
Con l’eliminazione di tutte le compresenze dei docenti nella scuola primaria e la riconduzione di tutte le cattedre a 18 ore settimanali nella scuola secondaria di primo grado, nel primo ciclo dell’istruzione saranno possibili solo modalità di insegnamento di tipo frontale.
In questo modo sparisce ogni traccia di funzionalità dell’organico dei docenti all’autonomia scolastica. L’autonomia didattica e organizzativa attribuita alle istituzioni scolastiche è una prerogativa esercitabile in presenza di una quota di risorse sufficiente a rendere più flessibile l’offerta formativa. Un monte orario delle risorse professionali assegnate in modo corrispondente al monte orario delle lezioni da impartire agli alunni riduce praticamente a zero le opportunità di flessibilità di organizzazione didattica (gruppi di recupero, classi aperte, laboratori, …) e con esse la principale potenzialità dell’autonomia scolastica per garantire il successo formativo a tutti gli studenti.
L’azzeramento della contemporaneità docente e di ogni altra disponibilità oraria dei docenti comporta anche difficoltà nell’organizzazione del servizio mensa, nella realizzazione delle uscite didattiche, nella copertura delle supplenze brevi, nell’alfabetizzazione linguistica e nell’integrazione degli alunni stranieri, nelle attività alternative per chi non si avvale dell’insegnamento della religione cattolica.
L’indebolimento dell’insegnamento della lingua straniera
L’insegnamento della lingua straniera nella scuola elementare sarà affidato solo agli insegnanti di classe specializzati, attualmente questo insegnamento è assicurato a tutte le classi grazie a 11.200 specialisti di lingua straniera. Gli insegnanti specialisti saranno eliminati in tre anni, 2000 dal prossimo anno scolastico, mentre gli insegnanti di classe necessari a sostituirli dovrebbero essere formati con non meglio precisati corsi triennali di formazione linguistica, di cui fino a d oggi non si sa nulla. Il regolamento per la razionalizzazione prevede però che in caso di necessita gli insegnanti di classe possano anche essere utilizzati anche solo dopo un anno di formazione. Non ci si può attendere nulla di buono per la qualità dell’insegnamento della lingua straniera da questa fretta e improvvisazione, già dal prossimo settembre gli insegnanti di classe che sostituiranno gli specialisti tagliati difficilmente avranno acquisto la competenza linguistica necessaria.
Nella scuola secondaria di primo grado si prevede la possibilità che le famiglie optino per l’inglese potenziato di 5 ore settimanali a scapito della seconda lingua straniera. Una decisione non in linea con quanto accade nel resto d’Europa dove invece si punta al plurilinguismo, destinata a rendere i nostri giovani più deboli culturalmente rispetto ai loro coetanei europei e che condanna il nostro Paese ad una subalternità linguistica che non ha eguali in Europa.
L’aumento del numero di alunni per classe
Aumenta il numero massimo e minimo di alunni per classe e quindi ci saranno meno classi e più affollate. Nella scuola dell’infanzia il minimo diventa di 18 e il massimo 26 elevabile a 29 in caso di iscrizioni in eccedenza, nella scuola primaria minimo 15 e massimo 26 elevabile a 27 in caso di resti, nella scuola secondaria di primo grado minimo 18 e massimo 27 elevabile a 28 in caso di resti, nella scuola secondaria superiore 27 è il numero minimo per la costituzione delle prime classi elevabile a 30 in caso di resti nella secondaria.
In presenza di alunni disabili secondo il regolamento le classi non possono avere, di norma, più di 20 alunni, affermazione che, a parte l’ambiguità burocratica del “di norma”, viene ancora più affievolita dal comma successivo che sostiene che le stesse classi possono essere costituite anche in deroga al limite previsto dei 20 alunni per classe.
Non è difficile immaginare le conseguenze dell’aumento del numero di alunni in classi sempre più eterogenee e multiculturali: crescita dell’insuccesso scolastico e della selezione, accentuazione dei problemi comportamentali e disciplinari. Meno insegnanti in classi più problematiche senza strumenti quali le compresenze per interventi individualizzati creano il terreno favorevole per il ritorno a forme di segregazione scolastica, le classi ponte della Lega o il ritorno delle classi differenziali.
La situazione può diventare preoccupante anche sotto il profilo della sicurezza a causa delle pessime condizioni della nostra edilizia scolastica, tanto che lo stesso regolamento prevede il rinvio di un anno dell’applicazione dei nuovi parametri nelle scuole che saranno comprese in un piano di riqualificazione dell’edilizia scolastica definito dal Ministero.
La riorganizzazione della rete scolastica e la programmazione territoriale
Regioni ed Enti locali, intanto, hanno imposto al Governo un netto arretramento sul terreno delle competenze in merito alla rete scolastica ed alla programmazione dell’offerta formativa. Il Governo dopo aver fatto marcia indietro sul commissariamento per decreto delle Regioni, ora, nell’ultima versione del decreto, rinuncia definitivamente ad imporre loro criteri e parametri. Ogni decisione in materia è rinviata ad una intesa in Conferenza Stato Regioni da raggiungere entro il prossimo 15 giugno. Il Governo conferma l’obiettivo di conseguire dalla riorganizzazione della rete scolastica risparmi pari a 85 milioni di euro, ma l’ultima parola spetterà inevitabilmente alle Regioni, cui l’art. 117 della Costituzione attribuisce le competenze a decidere su questa materia. L’ultimo colpo ai tentativi del Governo di ingerire nelle prerogative delle Regioni è stato inferto dal pur cauto Consiglio di Stato, che ha sì dato parere favorevole, ma ha anche costretto il Governo a cambiare il testo, rilevando l’impossibilità di affidare ai dirigenti regionali dell’amministrazione statale la ripartizione degli organici (sulla materia si è espressa la Corte costituzionale con la sentenza n. 13/2004). Si tratta di cambiamenti importanti, soprattutto perché evidenziano la possibilità di una via alla razionalizzazione alternativa ai tagli imposti dall’alto. Regioni ed Enti Locali, una volta in possesso delle leve della programmazione dell’offerta formativa, sono infatti i soggetti più idonei e motivati a mettere in atto interventi per riorganizzare rete e risorse e per reinvestire nel sistema scolastico. Se, invece, le Regioni nell’intesa con il Governo accettassero criteri e parametri che il Governo ha tentato di imporre loro nelle precedenti versioni del regolamento verrebbero chiuse oltre 1000 piccole scuole in particolare nei comuni minori.
Dall’approvazione all’attuazione
L’attuazione di questi due regolamenti disastrosi per la scuola pubblica sarà tutt’altro che semplice. Già in passato (vedi ad es. riforma Moratti) si è verificato uno scarto tra l'approvazione delle norme e la loro concreta attuazione. Occorre tener presente che i provvedimenti Gelmini incontrano notevoli resistenze nel mondo della scuola, tra i genitori e gli insegnanti, e in buona parte dell'opposizione politica e delle organizzazioni sindacali. Come non ricordare inoltre che il Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione si è espresso negativamente o che i genitori hanno scelto compattamente nelle iscrizioni i modelli scolastici che il Ministro intende eliminare?
Non solo, ma Regioni ed Enti Locali hanno espresso parere sfavorevole sul regolamento sulla scuola dell’infanzia e il primo ciclo ed hanno difeso le loro prerogative sulla rete scolastica. Per questo diciamo che non sarà facile, né indolore sul piano del consenso politico, portare a termine un'operazione di attacco alla scuola pubblica e di riduzione della sua offerta formativa così pesante.
Come se niente fosse intanto la Gelmini continua imperterrita a sostenere che le richieste delle famiglie sono state accolte e che il tempo pieno avrà un’espansione (addirittura!) del 30% rispetto alle classi esistenti (vedi le recenti dichiarazioni a Porta a porta). I tagli previsti smentiscono clamorosamente queste affermazioni. Non solo non si verifica alcuna espansione del tempo pieno nel Meridione, ove pure ce ne sarebbe bisogno, ma perfino in Lombardia si prospetta una riduzione delle classi a TP. Ad ogni modo, come abbiamo sempre sostenuto, la questione si chiarirà definitivamente e senza ombra di dubbio allorché saranno assegnati gli organici docenti alle scuole. Questa continua a rimanere la vera cartina di tornasole della “riforma” (o controriforma) in atto.
La difesa delle risorse professionali necessarie a garantire una scuola di qualità continua a rimanere la linea del Piave sulla quale attestarsi, per il movimento dei genitori e insegnanti e le forze politiche e sociali di opposizione.
Fabrizio Dacrema e Gianni Gandola

Tratto da www.scuolaoggi.org
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