Problemi di cui si parla da tempo vanno affrontati con urgenza dopo i recenti avvenimenti. Sulla politica industriale finora assente, sulle regole della rappresentanza e della democrazia nei luoghi di lavoro, sulla partecipazione dei lavoratori alla gestione dell’impresa servono soluzioni che siano la base di un “patto per la crescita”. Le proposte del Pd
Stefano Fassina e Emilio Gabaglio*
Il referendum di Mirafiori rende necessario affrontare almeno tre questioni che, presenti da tempo, acquistano oggi carattere d’urgenza e chiamano in causa sia le parti sociali che la politica. Si tratta in primo luogo di colmare il vuoto di politica del governo che non solo ha brillato per la sua assenza, salvo per le sconsiderate parole dell’ultima ora di Berlusconi, ma ha anche rimosso i programmi di politica industriale avviati dal governo Prodi. Contrariamente a quanto accade in altri paesi infatti, il centro destra non ha messo in campo, nel settore dell’auto e più in generale rispetto all’intero ambito manifatturiero, scelte ed iniziative capaci di sostenere le imprese nel difficile processo di ristrutturazione che esse stanno vivendo per reggere le nuove sfide dell’economia globale,con il risultato di lasciare i sindacati e i lavoratori soli a fronteggiare le esigenze di maggiore competitività e efficienza produttiva. Fino al punto di abdicare al ruolo proprio dei pubblici poteri di chiamare la Fiat ad esplicitare i contenuti e gli impegni dei suoi progetti di investimento e di sviluppo, con le relative ricadute occupazionali. Un compito che non può essere affidato alle interviste, peraltro reticenti sul punto, da parte di Sergio Marchionne ma che richiede l’apertura di un confronto al tavolo del governo a cui siano associati anche i sindacati. Questi ultimi d’altra parte non sono stati fin qui posti nella condizione di avvalersi dei diritti d’informazione e di consultazione che pure competono al Comitato aziendale europeo del gruppo Fiat, che è stato invece sostanzialmente tenuto ai margini delle vicende malgrado le sollecitazioni della Federazione europea dei metalmeccanici (Fem) a cui aderiscono anche le organizzazioni italiane .
La seconda questione attiene alle regole della rappresentanza e della democrazia nei luoghi di lavoro. Su questo piano sono stati compiuti sia a Mirafiori che a Pomigliano strappi inaccettabili che il ministro Maurizio Sacconi ha acriticamente avallato sottraendosi all’obbligo di favorire una sintesi alta tra interessi diversi drammaticamente squilibrati in termini di forza negoziale. Il ritorno alle Rappresentanze sindacali aziendali delle singole organizzazioni segna un passo indietro, così come appare una scorciatoia illusoria l’uscita dal sistema di rappresentanza datoriale volta a negare l’esercizio dell’attività sindacale in azienda ad organizzazioni che per numero di iscritti e voti ricevuti sono comunque rappresentative.
L’esigibilità degli accordi a tutti i livelli, esigenza legittima per ogni impresa, va garantita nella salvaguardia dei diritti di tutti i lavoratori e le lavoratrici alla rappresentanza. Tale inscindibile doppio obiettivo può essere raggiunto con una rinnovata intesa interconfederale sulla rappresentatività, la rappresentanza, la democrazia sindacale e le condizioni per la validazione dei contratti e degli accordi. Il punto di riferimento è il documento Cgil-Cisl-Uil del maggio 2008. Si tratta infatti di un’importante acquisizione unitaria da cui muovere per aprire un confronto per arrivare a soluzioni più chiare e definitive che coniughino la primaria responsabilità contrattuale dei sindacati con il coinvolgimento dei lavoratori in tutte le fasi del percorso negoziale, fino alla validazione finale degli accordi anche attraverso il ricorso a forme di consultazione e di referendum vincolanti per tutti.
Il Pd è convinto che l’autoregolazione delle parti ha un valore primario ma ritiene allo stesso tempo che la politica non possa venir meno alle sue responsabilità trattandosi di un tema che ha implicazioni di portata generale. Per questo il Pd ha presentato, nella logica di una legislazione di sostegno e ispirandosi al documento unitario del 2008, sia alla Camera che al Senato proposte di legge che è pronto a rivedere alla luce dell’auspicabile intesa finale tra le parti.
Quanto agli assetti contrattuali, l’alternatività tra livello nazionale e dimensione aziendale inopinatamente proposta da Federmeccanica a rimorchio della Fiat è una scelta sbagliata e pericolosa. La risposta alle specificità aziendali dei processi produttivi va trovata nel potenziamento della contrattazione di secondo livello così come definita nei contratti nazionali. Questi piuttosto andrebbero ridotti di numero, come a più riprese è stato detto anche da parte sindacale, e trasformati in ampi contratti-quadro per grandi settori produttivi dando più spazio alla contrattazione di comparto e decentrata. Non può sfuggire nemmeno al sistema delle imprese che il contratto nazionale di categoria rimane uno strumento insostituibile per garantire la coesione sociale e territoriale del paese.
Da ultimo ma non perché meno importante, si pone il problema di introdurre anche in Italia, alla luce dell’esperienza europea e nello spirito dell’art 46 della nostra Costituzione, forme di partecipazione dei lavoratori e delle lavoratrici non solo ai risultati economici dell’impresa ma anche al suo “governo”. Se infatti ai lavoratori si chiede di essere corresponsabili dei progetti di sviluppo dell’impresa, non si può escluderli dal godere dei benefici che da essi possano derivare, non come risultato di scelte unilaterali dell’azienda ma come portato di una contrattazione resa più informata e consapevole dall’associazione di loro rappresentanti alle scelte strategiche dell’impresa. Anche su questo piano il Pd ha presentato proposte di legge che prevedono una pluralità di soluzioni, dal pieno riconoscimento dei diritti d’informazione e consultazione dei lavoratori, alla creazione di comitati consultivi permanenti, alla promozione del sistema dualistico con l’inserimento di rappresentanti eletti dai lavoratori nei consigli di sorveglianza. Sono proposte sulle quali il Pd chiede a tutte le forze politiche e sociali di misurarsi al più presto.
Soltanto risposte progressive a queste questioni possono contribuire alla costruzione di un patto per la crescita del paese fondato sulla valorizzazione della persona che lavora.
*Stefano Fassina è responsabile economico Pd; Emilio Gabaglio è presidente del Forum lavoro Pd