Con Cipro un tabù è caduto: la libertà dei movimenti di capitali non è più un articolo di fede. È una buona occasione per chiedersi laicamente se, e a quali condizioni, i mercati finanziari liberi siano davvero utili al buon funzionamento dell’economia europea.
La libera circolazione dei capitali è stata perseguita come un passo fondamentale nel processo d’integrazione europea. Ma è ormai evidente che ha anche contribuito a generare, occultare e aggravare una situazione di squilibrio strutturale nei conti esteri dei paesi della zona euro, rendendo possibile la divergenza fra paesi debitori e creditori che oggi rischia di spaccare l’Europa.
Certo, come osservava Ronny Mazzocchi qualche giorno fa su queste pagine, nella situazione attuale, il rischio è che un blocco ai movimenti di capitali, ben lungi dal risanare gli squilibri, possa aggravarli ulteriormente. Il pericolo dietro l’angolo è la deflazione, terrificante per i paesi debitori (con crolli del Pil e dell’occupazione), ma a medio termine anche per i paesi creditori (crollo delle esportazioni).
I movimenti di capitali possono avere finalità diverse: finanziare scambi e investimenti reali o alimentare la speculazione. Fino allo scoppio della crisi, i mercati finanziari europei, fortemente integrati, finanziavano indifferentemente gli uni e gli altri. Poi, ben prima delle attuali restrizioni, si sono bloccati. E la BCE è subentrata finanziando altrettanto indiscriminatamente.
Forse è venuto il momento di distinguere. È possibile creare un’istituzione capace di finanziare commercio e investimenti internazionali pur in presenza di restrizioni ai movimenti di capitali?