Le cause profonde della crisi attuale dell’Unione Europea non sono comprensibili se non si riflette sul passato. L’Unione concluse negli anni ’80 la fase in cui le economie di scala conseguibili con l’accesso delle imprese ad un unico e vasto mercato, con l’abbattimento delle barriere tariffarie e non tariffarie, consentirono accordi di “mutuo vantaggio” fra i paesi membri. Da allora in poi, i progressi sulla strada dell’integrazione hanno comportato difficili compromessi, con distribuzione squilibrata del “surplus”, se non “a somma zero”. Il completamento della liberalizzazione dei movimenti di capitale nel 1990 rappresentò uno spartiacque a causa del noto "Quartetto impossibile" di Tommaso Padoa Schioppa: sovranità monetaria, tassi di cambio stabili, libertà di movimento dei capitali, libero commercio, Di qui, il progetto di sacrificare il primo "bene" per conservare gli altri accelerando l'unificazione monetaria. Fu però un errore, al momento della firma del Trattato di Maastricht nel 1991, assumere che mercato unico e moneta unica, da soli, potessero garantire più integrazione e meno diseguaglianza. A partire dalle regole dello SME e dalle stringenti guidelines per guadagnarsi l’ammissione all’euro, i crescenti conflitti d'interesse sono stati gestiti nell’ottica della soluzione egemonica: la Germania alla guida dell’integrazione monetaria, invece di una struttura sovra-nazionale che opponesse una governance cooperativa al potere dei mercati finanziari. Con il varo dell’euro, ovvero con la BCE come sola nuova istituzione (e per giunta con poteri limitati), l’esposizione di sistemi produttivi molto diversi alle stesse “regole del gioco” comportò che la strategia dell’integrazione venisse a poggiare esclusivamente sul “livellamento del campo di gioco”, e cioè sull’idea di dare briglia sciolta alla ferrea competizione fra i sistemi-paese.