«La questione italiana» di Francesco Barbagallo smonta i revisionismi e va alla radice, storica e culturale, del divario economico e sociale tra le due parti del paese. Tra industrializzazione fallita e deficit democratici Il rogo della Città della Scienza di Napoli potrebbe essere additato a simbolo di come stia andando in fumo ogni speranza di rinascita del Mezzogiorno d'Italia. Le macerie, il metallo fuso e annerito dei padiglioni dell'ex Italsider recuperati e riconsegnati alla cittadinanza dopo la dismissione, raccontano della cancellazione di un passato industriale - con i suoi limiti e fallimenti - e dell'agonia di una città, Napoli, che rappresenta una «questione» a sé nella già controversa «questione meridionale». Ci dicono altresì chi siano per ora i vincitori nella guerra a bassa intensità che sta sconquassando quello che, prendendo per buone le parole del presidente della Bce Mario Draghi, è «il territorio arretrato più esteso e popoloso dell'Unione europea»: la trimurti mafia-'ndrangheta-camorra, un'industria che alligna nella crisi e fattura ben settanta miliardi di euro all'anno.
Tralasciando le antiche e mai sopite dispute su meridionalismi vecchi e nuovi e sull'esistenza o meno di una «questione meridionale» quale cartina di tornasole della più ampia vicenda post-unitaria - che pure permeano La questione italiana - il Nord e il Sud dal 1860 a oggi dello storico Francesco Barbagallo (Editori Laterza, pagg. 225, euro 19) - la questione su cui non sarà mai troppo tardi interrogarsi è la seguente: può un'Europa unita permettersi di mantenere un'area così vasta e strategicamente decisiva - una penisola che si allunga come un gigantesco molo nel Mediterraneo - nella semipovertà e in balìa di un «blocco sociale mafioso» rinforzato dalla crisi e dai legami sempre più stretti con la politica? Una domanda che offre il destro immediatamente a un'altra: vale a dire se non si stia affermando una «questione meridionale» europea che abbraccia il Mezzogiorno d'Italia, la Grecia, il sud della Spagna e il Portogallo, regioni accomunate non solo dalla latitudine geografica e dall'essere le loro popolazioni figlie della Controriforma cattolica - quanto avrà pesato tutto ciò sul loro carattere, ci direbbe l'Ermanno Rea della Fabbrica dell'obbedienza? - ma soprattutto dall'essere destinate a diventare le banlieue d'Europa, come accade per le periferie delle grandi città che accerchiano il loro cuore ricco, pulsante e cosmopolita ma contemporaneamente ne sono escluse dal godimento.