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Cassa Depositi e Prestiti, un ritorno al passato

22/04/2011

La possibilità che una società francese possa acquisire il controllo di una nostra grande azienda, la Parmalat, ha dato vita a diverse iniziative legislative da parte del Ministro del tesoro, volte a cercare di conservarne la proprietà in mani italiane. L’art. 7 del decreto 31 marzo 2011, n. 34 prevede che la Cassa Depositi e Prestiti (CDP) possa “assumere partecipazioni in società di rilevante interesse nazionale in termini di strategicità del settore di operatività, di livelli occupazionali, di entità di fatturato ovvero di ricadute per il sistema economico-produttivo del Paese”. L’acquisizione può essere realizzata anche indirettamente, mediante veicoli societari o fondi di investimento partecipati, oltre che dalla CDP, da altre società private e pubbliche. Con questa disposizione si consente alla CDP di acquistare partecipazioni rilevanti nella Parmalat, per contrastare l’avanzata nel capitale della società francese Lactalis.

La difesa pubblica della proprietà italiana della Parmalat, in funzione protezionista, appare una battaglia di retroguardia che difficilmente porterà benefici al nostro sistema economico nel lungo periodo, come hanno sottolineato gli articoli di Barucci e Messori su questa rivista. Problemi solleva anche la scelta di utilizzare la Cassa come una carta “jolly” nella partita della definizione degli assetti del capitalismo italiano. Secondo molti commentatori si tratta del ritorno dello Stato imprenditore, dopo circa venti anni dall’avvio delle privatizzazioni in Italia: la CDP rappresenterebbe un nuovo IRI (l’Istituto per la ricostruzione industriale creato nel 1933).
In realtà, la CDP è una istituzione pubblica difficile da classificare. Nasce nel 1863, sulla scorta dell’esempio della Caisse des dépôts e consignations francese. Alla fine dell’Ottocento diventa una direzione generale del Ministero del tesoro, dotata di sola autonomia contabile. L’oggetto sociale erano soprattutto prestiti agli enti locali e al Tesoro, offerti utilizzando il risparmio postale. Nel 1983 è stata dotata di autonomia amministrativa e organizzativa. Nel 2003 è diventata società per azioni, sempre controllata dal Tesoro. Fino ad allora la CDP era stata classificata come un ente dell’Amministrazione centrale. Oggi è inclusa fra le istituzioni finanziarie monetarie europee. Non è una banca, anche se dal 2006 paga, come tutte le banche europee, la riserva obbligatoria, perché non è iscritta all’albo delle banche; è soggetta, in parte, alla vigilanza prevista per gli intermediari finanziari non bancari.

Il possesso di partecipazioni in società industriali non è un fatto nuovo per la CDP. In passato, la CDP partecipava al capitale dell’IMI e del Crediop. Con la trasformazione in spa, lo Stato ha trasferito alla nuova società quote del capitale di ENI, ENEL e Poste italiane spa. La novità è rappresentata dalla possibilità per la Cassa di acquistare le partecipazioni nelle imprese considerate strategiche mediante “utilizzo di risorse provenienti dalla raccolta postale”. Non si tratterebbe, quindi, di un “nuovo IRI”, ma di un nuovo “Credito mobiliare” che, a differenza della “Società Generale di Credito mobiliare”, fallita nel 1893, sarebbe di proprietà pubblica. Gli istituti di credito mobiliare sono stati tra i primi modelli di banca moderna affermatisi in Europa nell’Ottocento. Essi effettuavano investimenti stabili in industrie, attingendo, oltre che al capitale proprio, alle risorse finanziarie derivanti da depositi e dalle obbligazioni emesse, anche al fine di contribuire allo sviluppo dei mercati mobiliari. L’utilizzo in questa funzione della CDP appare una risposta a un problema antico del nostro sistema finanziario: la scarsità di capitali di rischio. Le riforme, pur importanti, degli anni novanta, che hanno disegnato un modello di banca universale (testo unico bancario del 1993) e hanno accresciuto la tutela degli investitori e la trasparenza dei mercati mobiliari (testo unico della finanza del 1998) non sono riuscite a cambiare i tratti distintivi del nostro capitalismo, in particolare la debolezza relativa dei mercati finanziari. Al pari della Francia siamo un sistema finanziario “ibrido”, senza la “haus-bank” tedesca e senza mercati finanziari spessi, come in Gran Bretagna, ma con un forte intervento dello Stato. In questo contesto, dato che i capitalisti privati da soli non si mobilitano per difendere la proprietà italiana della Parmalat, si sceglie di far intervenire la CDP. Con questa soluzione il Tesoro italiano mostra di voler ripercorrere una strada del passato. L’acquisto di Parmalat da parte della CDP rappresenta, insieme alla proposta dell’istituzione della Banca del Sud, uno dei tasselli di un disegno di un sistema bancario “funzionalizzato” per lo sviluppo dell’economia, per tanti versi simile a quello degli anni sessanta e settanta del secolo scorso, basato sul credito speciale a medio e a lungo termine, spesso affidato a banche pubbliche. Il ritorno dello Stato-banchiere si è registrato anche in altri paesi europei; in questi casi si è trattato di una scelta obbligata per il salvataggio di istituzioni finanziarie troppo grandi per fallire. L’intervento della CDP per sostenere il sistema industriale italiano non è indispensabile. L’esperienza degli anni settanta di intermediari “funzionalizzati” per rispondere a esigenze di sviluppo ha prodotto distorsioni nella concorrenza e gestioni inefficienti che hanno contribuito a indebolire il nostro sistema economico non a rafforzarlo. Infine, il caso CDP presenta pericolose ambiguità. Se quest’istituzione acquista i caratteri tipici di una banca – per la verità già in parte presenti – non può essere più sottratta alla regolamentazione delle banche e alla vigilanza della Banca d’Italia per questo tipo di intermediari, soprattutto per ragioni di parità concorrenziale.

Tratto da www.nelmerito.com
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