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Società civile a Londra: un "crisis round" su commercio e riforme

01/04/2009

Londra, 1 aprile 2009 - Rappresentano l’80% del prodotto interno lordo del pianeta e due terzi della sua popolazione, ma i G20 non sembrano saper tirare fuori dal cappello del prossimo incontro al via a Londra che le solite ricette: libero commercio sotto l’egida della Wto e salvataggio della vecchia finanza sono, infatti, al centro delle bozze di documento finale che stanno circolando in queste ore e sono finite sulle pagine del Financial Times.
Campagna per la Riforma della banca Mondiale, da Londra e la Coalizione Help local Trade (formata da Centro internazionale Crocevia, CRBM, Fair, Mais, Mani Tese e Sci) chiedono insieme alle reti internazionali un “Crisis Round”: riaprire tutti i negoziati in corso e di trovare, in ambito nuovo, un pacchetto vincolante e complessivo di misure anti-crisi elaborate a partire da una seria analisi degli impatti potenziali di questa crisi sulle aree vulnerabili, a Nord e a Sud, e dalle proposte che le organizzazioni della società civile, le organizzazioni sociali, i sindacati, le realtà produttive e di base insieme alle autonomie locali, hanno sperimentato in questi anni per rispondere alla marginalizzazione, l’impoverimento, la disoccupazione e la discriminazione che hanno colpito sempre più abitanti di questo pianeta.
Regolamentazione dei mercati finanziari? Riparliamone quando la recessione è finita
Le proposte di regolamentazione dei mercati finanziari confermano il magro risultato del vertice dei ministri delle finanze del G20 di metà marzo e non fanno alcun passo avanti come invece necessario ed urgente. Per quel che concerne la regolamentazione degli hedge funds, tra i fondi più speculativi ed attori cruciali del sistema bancario parallelo che ha dominato la finanza nell'ultima decade – si pensi che l'80 per cento di questi fondi è registrato alle Cayman Islands – i governi del G20 delegano il nuovo Financial Stability Board a definire una supervisione. Un altro ritardo che consente agli speculatori di continuare ad agire indisturbati anche durante la crisi.
Nel comunicato si annuncia addirittura che i requisiti patrimoniali per le banche private non dovrebbero essere rafforzati finchè non si esce dalla crisi. L'obiettivo centrale è quello di rilanciare l'economia e il sistema bancario, come se nulla fosse successo. Solo in seguito, eventualmente, ci sarà modo di discutere delle eventuali regole per evitare che il sistema finanziario trascini nuovamente l'economia mondiale nel baratro. Infine, riguardo al single accounting standard, nessun dettaglio è dato su quale questo sarà e come sarà attuato a livello internazionale. Nessuna menzione è fatta del fatto che l'International Accounting Standard Board al momento è registrato in Delaware, un paradiso fiscale, e non è affatto controllabile dal pubblico.
Aiuti al commercio
Rimangono la polpetta avvelenata lanciata ai paesi più in crisi perché ingoino la rapida chiusura dell’indigesto Development round di liberalizzazioni commerciali oggi in stallo in ambito Wto, potenzialmente molto dannose per loro, o, secondo le ultime proiezioni della Banca Mondiale, del tutto ininfluenti sui loro volumi attuali di commercio e di guadagni. Se l’Ocse lancia l’allarme sul fatto che i volumi degli aiuti allo sviluppo globali si stanno riducendo, le promesse di soldi freschi in cambio di nuovi potenziali mercati per i soliti noti e le loro imprese vengono rinnovate.
Lanciamo, invece, un Crisis Round: riapriamo tutti i negoziati in corso a partire dall’analisi concreta della faccia più dura della crisi, da svolgere nell’ambito delle Nazioni Unite, con il supporto delle agenzie dedicate e con ampi spazi di confronto con la società civile, le organizzazioni sociali, sindacali, di produzione e le autonomie locali, per individuare un pacchetto complessivo di misure anticicliche per invertire la deriva di molti dei nostri territori.
Più soldi al Fondo Monetario Internazionale. Ma quanti e per cosa, si vedrà
Ancora lontano sembra l'accordo su come aumentare le risorse del Fondo monetario internazionale, che vede un forte scontro tra le due sponde dell'Atlantico con la mediazione del Regno Unito. I governi europei sono restii a triplicare le risorse come richiesto dagli Stati Uniti ed allo stesso tempo temono che il contributo maggiore delle economie emergenti, anche in via bilaterale, possa giustificare la necessità di dare a queste più quote di potere e rappresentanza nel Fondo a danno dei sovra-rappresentati paesi europei. Oggi, infatti, ad esempio la Cina ed il Belgio hanno lo stesso potere di voto nel consiglio direttivo dell'istituzione.
Allo stesso tempo il G20 non rimette affatto in discussione il paradigma di dannose condizionalità economiche di stampo liberista che sono ancora collegate ai prestiti del Fmi, come visto nei recenti salvataggi in Est Europa. E' fondamentale che i governi, ed eventualmente il governo italiano, condizioni nuovi finanziamenti al Fondo alla rimozione di queste odiose condizionalità dal suo operato. Allo stesso tempo l'Fmi deve smettere di operare prestiti di lungo termine per lo sviluppo, tornando al suo mandato originario, e lasciando questo compito ad altre istituzioni del sistema Nazioni Unite, e banche di sviluppo regionale.
Non c’è nemmeno un dollaro per lo sviluppo locale
Dopo aver speso trilioni di dollari per salvare le solite banche, i territori vengono lasciati al loro attuale abbandono, senza che venga messo a disposizione nemmeno un dollaro per verificare l’impatto della crisi sull’accesso ai diritti fondamentali come sovranità alimentare, acqua, scuola, salute, produzione e consumi di base nei territori più vulnerabili e in difficoltà, a Sud come a Nord. La prospettiva è sempre la stessa: il macro salverà il micro per “sgocciolamento”, nonostante sia ormai sotto gli occhi di tutti che i Paesi dominanti bevono d’un sorso anche quelle.
Paradisi fiscali: nulla di nuovo sotto il sole
Dopo avere ascoltato ripetute e durissime prese di posizione contro i paradisi fiscali di quasi tutti i leader dei Paesi del G20, si può dire che la montagna ha partorito il topolino. In particolare, verrà resa pubblica una nuova lista OCSE dei paradisi fiscali che non cooperano con la comunità internazionale, ma le sanzioni da prendere al riguardo e come raggiungere un accordo multilaterale per aumentare la trasparenza di queste giurisdizioni sono temi che il G20 tratterà solamente alla fine dell'anno. Ancora una volta Gordon Brown ha preferito dare precedenza agli interessi della City di Londra che a quelli dell'economia reale e dei contribuenti.
In questo senso, le maggiori economie del pianeta continuano ipocritamente a puntare l'indice contro delle piccole isole tropicali o altre giurisdizioni che contano poco o nulla nello scacchiere internazionale, invece di guardare in casa propria. Quanti sono i paradisi fiscali all'interno della virtuosa Unione Europea o sotto il controllo più o meno diretto di nazioni europee? Quante imprese nostrane hanno filiali, sussidiarie e controllate in qualche paradiso fiscale? E ancora, perché governi e banche centrali non impediscono alle nostre banche di aprire filiali offshore? A queste domande i Paesi del G20 non reputano di dovere rispondere.
Nasce il Financial Stability Board. Ancora meno trasparente dell'IMF
I governi del G20 hanno già raggiunto un accordo su allargare la membership del Financial Stability Forum creato dopo le crisi asiatiche del 1997-98 per preservare la stabilità finanziaria – cosa non affatto garantita a soli 10 anni di distanza – a tutti i venti paesi e quindi di rendere l'FSF una nuova istituzione permanente denominata Financial Stability Board. Nasce così una nuova istituzione globale di supervisione dei mercati finanziari e delle politiche macro-finanziarie dei singoli governi.
Sarà Mario Draghi sempre a presiedere questo nuovo board.
La società civile è fortemente preoccupata dell'opacità del funzionamento del FSF fino ad oggi, inferiore addirittura a quella del Fmi, nonché della poco chiara divisione di competenza tra la nuova istituzione, il Fondo monetario ed altri bodies rilevanti in materia finanziaria a livelllo internazionale, ad esempio la Bank for International Settlement.
Poca democrazia nei nuovi consessi globali
Il G20 riapre, infine, l'annosa questione della riforma del sistema di governo delle istituzioni finanziarie internazionali, rimandando però il negoziato al 2011 nel caso dell'Fmi ed al 2010 per la Banca mondiale. La società civile è preoccupata che mentre le economie emergenti potrebbe essere maggiormente rappresentate nel lungo termine nei consigli direttivi delle istituzioni, come la nuova mappa geo-economica del pianeta inevitabilmente richiede, la gran parte dei paesi del mondo e quelli più impoveriti rischiano di continuare a non essere adeguatamente rappresentati.
La società civile crede che solamente una autentica democratizzazione della Banca e del Fondo potranno ridare legittimità a queste istituzioni, pena la loro ulteriore crisi. Un primo passo nella giusta direzione potrebbe essere l'adozione di una doppia maggioranza – una economica e una politica – che effettui un ribilanciamento della distribuzione di potere Nord-Sud, nonché un forte potenzialmente del Consiglio Ministeriale dell'Fmi, come suggerito da un recente panel di esperti, che dovrebbe anche rappresentare il raccordo politico con il sistema delle Nazioni Unite, di cui il Fondo e la Banca sono agenzie economiche specializzate con un proprio statuto autonomo.

Tratto da www.crbm.org
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