Girava un'aria vintage ieri a Washington. I leader di 20 potenze economiche hanno discusso della crisi internazionale pensando con nostalgia ai trent'anni di ubriacatura finanziaria e liberalizzazione selvaggia che hanno reso più ricchi i ricchi e un po' meno poveri i poveri in una manciata di paesi - solo quelli invitati al vertice. Gli americani rimpiangevano i fasti della conferenza di Bretton Woods di 64 anni fa, che ne fece i padroni dell'ordine economico mondiale; il presidente Bush avrà ripensato agli otto anni della sua presidenza, il ministro del tesoro Henry Paulson agli anni d'oro della finanza rampante, quand'era a capo di Goldman Sachs. Gli europei hanno accettato di buon grado di ridimensionare il proprio ruolo internazionale (come già avevano fatto nella Bretton Woods originale). Tutti si sentivano meglio per il tocco di colore rappresentato dai nuovi invitati - cinesi, coreani, indonesiani, sauditi, brasiliani, argentini, messicani, russi, turchi e sudafricani - e per la disponibilità di generose riserve finanziarie di alcuni di essi. Perfino al Fondo monetario internazionale, si vagheggia una seconda giovinezza: l'autocandidatura a gestire anche il sistema finanziario che verrà.
Tutti avevano il viso rivolto al passato. Si sono rassicurati tra loro sulla breve durata della crisi, sulla possibilità di lasciare immutato un sistema fondato su una libertà senza limiti di movimento di valute, capitali e merci, discutendo di ritocchi formali - più trasparenza e prudenza - e promettendo addirittura di concludere in fretta i negoziati sul commercio. Le priorità di questi trent'anni di politiche che hanno privilegiato la speculazione sulla produzione, il capitale sul lavoro non sono state messe in discussione. Ai nuovi ricchi del Sud del mondo è stato chiesto di salvare un sistema che li ha esclusi, ma in mancanza di un po' di immaginazione sui futuri possibili, essi hanno offerto un po' di ossigeno ai vecchi padroni del mondo.
A guardare avanti, a vedere la natura dei problemi - la fine del neoliberismo, una grande depressione in arrivo - c'è soltanto la società civile di tutto il mondo, che in un appello firmato da oltre 2000 organizzazioni di centinaia di paesi (scaricabile da old.sbilanciamoci.info) chiede una politica all'altezza dei cambiamenti in corso. Una politica globale, da discutere nella sede naturale - le Nazioni unite - che non escluda più i poveri del pianeta e che non dimentichi l'ambiente. Un processo che includa la società civile, i lavoratori, tutti quelli che hanno perduto diritti, salari e lavoro durante l'ascesa e caduta della finanza. In Italia, la Campagna Sbilanciamoci ha chiesto che i costi della crisi siano pagati dalle rendite finanziarie e che per ogni euro destinato alla finanza, ci sia un euro investito per rilanciare e riconvertire l'economia reale. Curiosamente, due giorni fa sul New York Times, il neo-premio Nobel Paul Krugman sembrava d'accordo: ha chiesto un piano di stimolo all'economia reale di 600 miliardi di dollari, analogo ai 700 miliardi destinati a salvare la finanza. Fuori dal vertice di Washington, sembra arrivato il momento di immaginare davvero altri futuri possibili.